Il fallimento energetico della Germania
(Ansa)
Economia

Il fallimento energetico della Germania

Energiewende, la transizione energetica tedesca sta per essere del tutto rinnegata; colpa della guerra ma non solo

La Germania ha impiegato 30 anni perché il 15% del suo fabbisogno energetico provenisse da fonti energetiche rinnovabili. Ma soprattutto ha investito nell’Energiewende, la transizione energetica, la cifra astronomica di 500 miliardi di euro.

I risultati sono impietosi: nella prima metà di questo mese l’energia prodotta dai combustibili fossili è stata pari al 67%. I 60 GW (gigawatt) di potenza eolica installata hanno soddisfatto il fabbisogno di energia elettrica per un modestissimo 13%. L’apporto di energia dai circa 60 GW di potenza fotovoltaica è stato quasi inesistente: l’1,3%.

Si consideri che in Germania la potenza mediamente necessaria a garantire il fabbisogno di energia elettrica si attesta mediamente tra i 75 e gli 85 GW.

Un non addetto ai lavori potrebbe legittimamente ritenere che gli oltre 120 GW di potenza a disposizione, tra eolico e fotovoltaico, dovrebbero essere ampiamente in grado di soddisfare la domanda. L’evidenza dice che soddisfa, a stento, il 15% della domanda.

Secondo gli strateghi tedeschi sarebbero state le centrali elettriche a gas, in grado di fornire elettricità relativamente pulita rispetto a quella del carbone, a fare da ponte fino al raggiungimento della transizione verso energie climaticamente neutre. In realtà, visto che la transizione sembra sine die, la Germania tiene a disposizione una rete “ombra” di generazione convenzionale come backup alle rinnovabili intermittenti. Le spese di una tale soluzione non vengono sostenute dai produttori dell’energia verde, ma dai contribuenti. Questa soluzione è la ragione principale per cui il cliente residenziale tedesco medio paga una bolletta dell'elettricità tra le più alte al mondo.

Comunque il gas russo a basso costo faceva sembrare l’Energiewende un progetto realizzabile, per quanto indefinito nel tempo, ma il GNL su cui ora la Germania, come l’Italia, deve fare affidamento è molto costoso e rende obsoleto il vecchio piano per la transizione energetica.

E’ necessario pertanto ripensare la politica energetica perché, come ammonisce il professor Clemens Fuest dell’Institut für Wirtschaftsforschung di Monaco di Baviera sulle pagine della Süddeutsche Zeitung, le aziende devono poter accedere all’energia a prezzi accessibili. In caso contrario, vi è il rischio di un esodo di industrie chiave verso paesi in cui l'energia è affidabile e relativamente a buon mercato. Le perplessità dell’economista riguardano la politica schizofrenica del governo “verde” che pare in stato confusionale davanti alla complessità della situazione. Soprattutto perché l'approvvigionamento energetico è un argomento così delicato da non consentire paradigmi ideologici: diversamente si metterà a rischio la prosperità tedesca.

Le contraddizioni paiono evidenti: se da un lato Il ministro dell'economia Habeck è ora convinto che la neutralità climatica in Germania non possa essere raggiunta senza la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) e sta considerando di aprire la strada alla tecnologia, oggi vietata in Germania, dall’altro non vuole utilizzarla per catturare le emissioni di CO2 dalle centrali elettriche a carbone perché i Verdi vogliono ancora attenersi all'eliminazione graduale del carbone. Nel frattempo l’intensità di carbonio dell'elettricità consumata in Germania è seconda, in Europa, solo a quella della Polonia. Questa tecnologia viene considerata anche dall’Agenzia internazionale per l’energia, IEA, un tassello fondamentale per raggiungere la neutralità climatica. Infatti la Norvegia, uno dei pionieri della tecnologia CCS, che utilizza dal 1996, sta attualmente espandendo massicciamente la sua infrastruttura di cattura e stoccaggio del carbonio e vuole renderla disponibile alle aziende di tutta Europa.

Ma le contraddizioni non finiscono qui: per quanto oggi i Verdi non siano in grado di fare a meno del carbone non rinunciano a cercare di convincere altri paesi a seguirli nel loro sfortunato cammino: è il caso del Sudafrica. Dove Habeck promette il sostegno finanziario della Germania per finanziare l'eliminazione graduale del carbone sudafricano con oltre un miliardo di euro mentre allo stesso tempo, i fornitori di energia tedeschi importano enormi quantità di carbone proprio da quel paese per sostituire il gas russo. Di qui l’evidenza della schizofrenia della politica climatica del governo tedesco che da un lato ha deciso di eliminare gradualmente la produzione di energia a carbone, anche prima di quanto inizialmente previsto, e dall’altro continua a rimettere in rete le centrali elettriche a carbone a suo tempo disattivate.

D’altra parte dopo il petrolio e il gas, l'Europa inizia ad essere a corto anche di vento: la recente “siccità eolica” che ha colpito l’Europa sembra confermare una tendenza evidenziata dall'Osservatorio Copernicus: la velocità del vento l'anno scorso è stata la più bassa in almeno quattro decenni.

Le conseguenze per la produzione energetica eolica paiono evidenti. La ”siccità eolica” non è un’invenzione di chi non vuole le pale eoliche: lo stesso l'IPCC nel suo ultimo rapporto prevede un calo del 6-8% della velocità media del vento in Europa entro il 2050. Naturalmente questo fenomeno colpisce particolarmente quei paesi che dipendono maggiormente da questa energia intermittente, come la Danimarca, che genera il 44% della sua energia da fonte eolica e non a caso nel 2021 la società energetica danese Ørsted ha registrato una perdita di 380 milioni di euro.

La realtà è che costo dell'energia eolica diventa sempre più imprevedibile e la sua disponibilità più inaffidabile, a meno che l'industria energetica non investa in enormi sistemi di stoccaggio in grado di catturare l'energia in eccesso generata nei giorni più ventosi e rilasciarla quando le turbine eoliche sono ferme. Nella sostanza, questo problema diventa tanto più grave quanto più grande diventa la quota di energia eolica nel mix energetico complessivo di un paese. Ma accade anche l’opposto, ovvero che le energie rinnovabili intermittenti producano anche quando non c’è domanda di energia e per non sovraccaricare le reti devono quindi sospendere la loro immissione in rete di energia (in termini tecnici curtailment). Tuttavia, anche in questo caso, i gestori di questi impianti ricevono una compensazione per l'elettricità NON prodotta: nell’anno in corso i contribuenti tedeschi hanno pagato per 5800 gigawattora (GWh) di l'elettricità NON generata 807 milioni di euro.

Kissinger ha detto "La Germania è troppo grande per l'Europa e troppo piccola per il mondo". Ed effettivamente l’influenza delle politiche energetiche tedesche ha pervaso il Vecchio Continente ed anche il nostro Paese dove è necessario un cambio di rotta repentino che, al momento, non si intravede nonostante il dramma della crisi energetica. Se la Germania per sostenere il sistema energetico del paese, da quando ha perso l'accesso al gas russo, secondo i calcoli di Reuters, ha speso quasi mezzo trilione di dollari il nostro Paese, con il suo colossale debito pubblico, non può permettersi altrettanto.

Conforta che ci siano voci da Confindustria, in verità poche, che cominciano a spiegare chiaramente la situazione, dal presidente di Federacciai, Gozzi, sono arrivati concetti molto chiari: lavorando 8.000 ore all’anno le rinnovabili ne coprono 2.000 ed il resto? “Serve un “baseload decarbonizzato” come turbogas accoppiati alla cattura di CO2 e Ppa per l'importazione di energia nucleare.” E le batterie? Sempre Gozzi : “Non mi venite a parlare di batterie. Se dobbiamo dirci la verità, e lo dico per il mio settore, un forno elettrico non si può far funzionare con le batterie. Un impianto chimico di grosse dimensioni non si può far funzionare con le batterie. Ci vogliono chilometri di batterie per alimentare un forno elettrico”.

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Giovanni Brussato