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Economia

Stoccaggi, batterie e transizione energetica. Quante parole per nulla

Sono termini ormai entrati nell'uso comune ma di cui sappiamo poco. E tra il dire ed il fare...

Una parola che oggi è entrata nel lessico di un numero crescente di italiani è: stoccaggi. La percentuale di riempimento degli stoccaggi di gas per l’inverno è un tema che ci accompagna da mesi.

Una grande economia, come quella europea o statunitense, dispone di stoccaggi per uno o due mesi di carbone, petrolio o gas naturale per tutelarsi da lunghe interruzioni derivanti da eventi come disastri naturali, conflitti o tensioni geopolitiche. Gli stoccaggi sono una parte integrante di quella che si suole definire sicurezza energetica.

Stoccare queste quantità di idrocarburi è relativamente facile e poco costoso ma oggi ci sentiamo ripetere con sempre maggior frequenza di sostituire questi stoccaggi attraverso dei sistemi di accumulo elettrochimico più noti come più batterie.

Questo affinché si possa immagazzinare l'energia in eccesso dagli impianti solari ed eolici, che diversamente resterebbe inutilizzata, per quanto, spesso, già pagata.

Ma se sostituissimo il valore energetico degli attuali stoccaggi di gas naturale che l'Europa ha ora in deposito utilizzando batterie sul modello di quella statunitense di Moss Landing, ad oggi, la più grande al mondo?

Farlo richiederebbe la costruzione di batterie per un valore di oltre 40.000 miliardi di euro (per un ordine di grandezza si consideri che il valore del NextGenerationEU è di 723,8 miliardi di euro) e per produrle tutte le fabbriche di batterie del mondo dovrebbero lavorare a questo unico scopo circa 400 anni.

Nonostante la retorica insista sul fatto che i prezzi di queste tecnologie, in un senso più allargato che include anche pannelli fotovoltaici e turbine eoliche, stia rapidamente crollando, sta accadendo il contrario.

La stessa IEA, l’Agenzia internazionale per l’energia, evidenzia che, se dal 2017 al 2021 il costo di queste tecnologie è diminuito anche del 40%, dallo scorso anno questa tendenza, che l'industria ha visto svilupparsi per più di un decennio, si è invertita.

A conferma ci sono una serie di fatti.

Attualmente meno del 15% dei metalli critici è utilizzato dal settore energetico mentre vengono utilizzati in altri settori come, ad esempio, telecomunicazioni, digitale o trasporti. Se realmente si volessero centrare, anche in parte, gli obbiettivi della transizione energetica, quella percentuale è destinata a superare, in molti casi, ampiamente il 50% inducendo una forte volatilità nei prezzi di mercato.

Basti vedere, come i prezzi del litio siano già aumentati di quasi il 1.000% negli ultimi due anni appena è risultato chiaro che le case produttrici di automobili avrebbero costruito (anche) veicoli elettrici. Ma quello che realmente dovrebbe inquietare è il picco del prezzo del rame arrivato oltre i $ 10.000 per tonnellata o del nichel, a un massimo di cinque anni, dopo che, a marzo, manovre speculative hanno portato l’LME, il più antico e grande mercato al mondo per i metalli industriali, ad annullare contrattazioni regolarmente effettuate.

L’effetto sgradito della crescita della domanda di queste materie prime è, oltre a gonfiare i costi della transizione energetica, l’aumento dei costi di altri prodotti, di uso comune, in competizione per le stesse materie prime: un effetto inflazionistico di cui stiamo toccando con mano gli effetti.

Di conseguenza, i costi futuri di molti altri beni dipenderanno dagli obbiettivi e dalla velocità con cui i governi imporranno le loro politiche di transizione.

Fino ad ora, significative riduzioni dei prezzi delle batterie sono state il felice risultato di grandi guadagni nei processi di produzione, tanto che oggi il costo di una batteria al litio è costituito per oltre il 60% dalle materie prime. L’inevitabile conclusione è che il crollo dei prezzi delle batterie sia arrivato al capolinea con l'aumento dei costi dei materiali.

I costi futuri delle tecnologie “verdi” saranno governati, ancora una volta, dall'industria mineraria globale e dai risultati che sarà in grado di ottenere in termini di prospezioni, efficienza nell’estrazione e nella raffinazione dei metalli.

Fateci caso, non è cambiato nulla: sono solo cambiate le compagnie minerarie da quelle del settore petrolifero a quelle dei metalli.

Perché la società ha da sempre bisogno di materie prime fornite dall’attività estrattiva, quanto ha bisogno di cibo e acqua, non è un caso il detto: «se non è cresciuto, è estratto».

Con un aspetto non del tutto privo di una certa ironia oggi petrolio e gas rappresentano circa i due terzi dell'energia utilizzata nel settore minerario e la restante quota è rappresentata dall’elettricità, in larga parte prodotta con idrocarburi, spesso carbone. Se, prima dell’attuale crisi, la spesa energetica costituiva circa il 40% dei costi del settore minerario oggi, le politiche dovute alla transizione energetica, aumentando il costo degli idrocarburi, hanno aumentato anche i costi dell'estrazione mineraria e, di conseguenza, i costi delle materie prime necessarie alla transizione medesima ma nel contempo anche all’economia nel suo complesso.

La retorica su una transizione energetica lontano dalla dipendenza dagli idrocarburi attualmente non è ipotizzabile, o comunque, non è ipotizzabile alcun lasso di tempo significativo per realizzarla, ed è una pericolosa illusione basare le politiche sull'idea che una tale transizione sia possibile in qualche decade.

Perché oggi dipendiamo dagli idrocarburi per l'84% della domanda globale di energia e le tecnologie solari ed eoliche forniscono appena il 5% di questa domanda mentre i veicoli elettrici non riescono a compensare nemmeno lo 0,5% della domanda mondiale di petrolio.

Questi sono i risultati di un fiume di denaro di spesa e sussidi per una transizione che non ha ancora minimamente inciso nel panorama energetico. Denaro, si badi bene, proveniente da risparmi resi possibili grazie alla nostra dipendenza dalle enormi quantità di idrocarburi convenzionali, a basso costo, provenienti dalla Russia che hanno consentito la competitività delle nostre industrie.

Le politiche energetiche europee hanno scordato le tre metriche fondamentali che hanno dominato l'accesso dell'umanità all'energia: bassi costi, alta affidabilità e sicurezza geopolitica.

I risultati sono davanti a noi.

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Giovanni Brussato