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Mimmo Lucano all'Università La Sapienza a Roma il 13 maggio 2019 (Ansa).
Politica

Dal progetto Riace ha avuto vantaggi soprattutto Lucano

Il sistema costruito dal sindaco-simbolo per la difesa dei migranti nel piccolo centro calabrese è sott'inchiesta per cattiva gestione di risorse pubbliche. E l'ex primo cittadino avrebbe sfruttato «un'operazione anti-economica» di accoglienza per promuovere
la propria immagine.


Che Riace e il suo ex sindaco Mimmo Lucano, paladino dell'immigrazione senza limiti, non siano riusciti a costruire un meccanismo economico sui migranti in grado di sostenersi anche senza il doping del finanziamento pubblico ora è certificato da un'inchiesta della Corte dei conti. E si scopre perfino che alla coop amica del sindaco, Città Futura, poliedrica associazione con l'ambizione di trasformare Riace in una città dell'accoglienza, non sono bastate neppure le «donazioni periodiche», così vengono definite nei documenti raccolti dalla Guardia di finanza, provenienti da un conto di una società registrata alle isole Cayman.

Ma Città Futura è solo una fetta della ben oliata macchina dell'accoglienza calabrese che avrebbe causato un danno erariale da oltre 5 milioni di euro per l'irregolarità degli affidamenti nella gestione dei centri di accoglienza. Tra aprile 2011 e dicembre 2012 - nel pieno della propaganda messa in piedi dal cordone mediatico che raccontava Lucano come il migliore tra gli amministratori in circolazione - stando ai giudici della Corte dei conti di Catanzaro, a Riace ma anche ad Acquaformosa e Caulonia, 42 persone tra sindaci, assessori e amministratori di società cooperative dell'accoglienza avrebbero bruciato risorse pubbliche.

Dalle indagini coordinate dal viceprocuratore regionale della Corte dei conti Giovanni Di Pietro e condotte dai finanzieri della compagnia di Paola e della tenenza di Amantea, sarebbero emerse gravi irregolarità che avrebbero determinato un ingiustificato arricchimento dei beneficiari delle risorse pubbliche. Secondo l'accusa, il «soggetto attuatore», un dirigente pro tempore del settore Protezione civile della Regione Calabria, avrebbe affidato il servizio di gestione dei centri di accoglienza a cooperative e consorzi senza requisiti e costituiti in data successiva alla presentazione delle offerte. L'aspetto più grave è che in alcuni casi i fondi sarebbero stati destinati a cooperative arrivate al bando senza avere la disponibilità di immobili nei quali far alloggiare i migranti.

Infine, sarebbero stati liquidati corrispettivi «sovrastimati» rispetto a quanto realmente offerto, riconoscendo agli affidatari un compenso anche per posti non occupati. Che oltre a far arricchire chi sui migranti faceva affari, ha prodotto consenso sociale per chi, come Lucano, ha cavalcato il tema, fino a creare un'esposizione mediatica che Riace non vedeva dai tempi in cui il presidente Sandro Pertini si oppose all'idea di mandare i celebri Bronzi negli Stati Uniti e poi li espose al Quirinale. Al punto che la Rai si era decisa a girare persino una fiction sul sindaco «illuminato», stoppata solo dall'inchiesta giudiziaria che ora è diventata un processo per concussione e truffa aggravata.

Dopo l'ultima udienza Lucano ha ricominciato a proclamarsi una vittima di tutta la vicenda e se l'è presa con il Pm che voleva far acquisire ai giudici la registrazione del discorso nel quale annunciava la candidatura con Luigi de Magistris alle Regionali in Calabria. Secondo l'accusa, rappresentata in aula dal pubblico ministero Michele Permunian, «l'annunciata candidatura alle Regionali di Lucano nella lista dell'ex sindaco di Napoli confermerebbe le sue reali ambizioni politiche», unico vantaggio ottenuto da Lucano da tutta questa operazione anti-economica sui migranti. «È un reato occuparsi di politica?», si è lagnato Lucano, dopo aver rivendicato di far parte «di una sinistra antagonista, anticapitalista e antigiustizialista».

Alla fine, tra gli atti del processo il discorso sulla sua candidatura non è stato inserito. Al contrario della contestazione della Corte dei conti, la cui inchiesta sembra essersi saldata con quella giudiziaria, e che ora documenta anche come le convenzioni sottoscritte dal Comune di Riace siano vere «sub convenzioni», ovvero subappalti: che, secondo i giudici contabili, «si pongono in palese contrasto con la convenzione sottoscritta con il soggetto attuatore, che escludeva espressamente la possibilità del sub affidamento in toto dei servizi a terzi».

Il Comune non ha emesso fatture proprie ma ha documentato le spese sostenute attraverso quelle prodotte dalle varie associazioni che hanno gestito il servizio e hanno stipulato i contratti di affitto per le civili abitazioni utilizzate per l'accoglienza. Un aspetto che i magistrati contabili hanno posto al centro della loro contestazione: «Restando impregiudicata la valutazione sulle irregolarità fiscali, la circostanza rende assolutamente incomprensibile la condotta del soggetto attuatore e dello stesso sindaco».
Era stato proprio Lucano a sottoscrivere una convenzione che «obbligava il soggetto affidatario (il Comune, ndr) a presentare la fattura o un documento equipollente per ricevere la liquidazione delle prestazioni ricomprese nella convenzione».

Lucano l'ha ignorato, immaginando forse di avere un salvacondotto, anche perché i soldi continuavano ad arrivare al Comune che, poi, li riversava sulle cooperative. Così ha proseguito nel pasticciare con i conti, finché il tempo delle vacche grasse è diventato quello delle inchieste e dei processi. Che ora potrebbero pesare sull'annunciata corsa alle Regionali a sostegno di un ex pubblico ministero che, per contrappasso del destino, vuol caratterizzare la sua campagna elettorale con slogan sulla legalità.

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Fabio Amendolara