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Buoni che fanno il proprio bene

Buoni che fanno il proprio bene

L’editoriale del direttore

A essere condannato non è stato il modello Riace, ma i pasticci dell’ex sindaco con il denaro pubblico.


Anni fa Mario Giordano scrisse un meraviglioso libro dal titolo: Attenti ai buoni. Se lo cito non è per far pubblicità a posteriori a un nostro valente collaboratore, il quale non ne ha certo bisogno, ma perché con un’intuizione geniale il conduttore di Fuori dal coro capì che dietro a tante iniziative presentate con il marchio doc della solidarietà si nascondevano truffe e approfittatori. L’elenco dei casi citati era davvero impressionante: operazioni di beneficenza sponsorizzate da fior di istituzioni come la Fao, cioè l’organizzazione contro la fame del mondo facente capo all’Onu, o la Croce Rossa, in realtà nascondevano privatissimi interessi, nel senso che i soldi non finivano nelle tasche dei più bisognosi, per sfamare i poveri o aiutare gli alluvionati, ma servivano ad arricchire una banda di furbi.

Dunque, avendo letto il libro-inchiesta di Giordano, non mi ha stupito la condanna di colui che era stato eletto eroe dell’accoglienza. Parlo ovviamente di Mimmo Lucano, sindaco di Riace per quasi 15 anni, periodo lunghissimo interrotto da un’inchiesta giudiziaria che lo ha costretto persino al confino. La sua storia è degna di un film e infatti su di lui la Rai addirittura realizzò una miniserie, con Beppe Fiorello a interpretare i panni di un ex insegnante che si trasforma in politico, fa risorgere il suo Paese riempiendo le case svuotate dall’emigrazione con gli immigrati. La storia di un buono, che aiuta gli altri, in questo caso gli extracomunitari arrivati con i barconi, e dà vita a un modello di solidarietà di cui parla tutto il mondo.

Ne scrive il Los Angeles Times e la rivista Fortune lo classifica fra i 50 personaggi più influenti del mondo, e al concorso per il miglior sindaco del pianeta arriva terzo, dopo quelli di Città del Messico e Oklahoma City. Il regista Win Wenders, famoso per il film Il cielo sopra Berlino, lo inserisce in un cortometraggio, con Ben Gazzara a interpretare il suo personaggio. Sì, Lucano è una star e la sinistra lo porta in palmo di mano, insieme a tutti i movimenti terzomondisti, ai comitati antimafia, all’Arci e alle associazioni del variopinto mondo dell’accoglienza.

Peccato che a rovinare l’immagine del sindaco buono arrivi un giorno una segnalazione del prefetto, il quale nei rendiconti dei soldi che il comune di Riace riceve dallo Stato e dall’Unione europea per accogliere i migranti non si ritrova. È l’inizio della fine, perché quegli appunti finiscono in Procura e i pm iniziano a passare al setaccio le spese, le decisioni, le giustificazioni. Soprattutto ascoltano, nel senso che piazzano microspie in Comune e ricostruiscono un sistema. Finisce come credo quasi tutti sappiate, ovvero con una raffica di avvisi di garanzia, la sospensione del sindaco, il suo invio al confino come si fa con i mafiosi, ovvero gli è vietato di soggiornare a Riace. Lui grida al complotto, la sinistra anche, ritenendolo vittima di una macchinazione di chi non vedeva di buon occhio la sua battaglia a favore dei più deboli, ossia degli immigrati.

Poi, dopo l’inchiesta, arriva il rinvio a giudizio e nonostante il processo in corso, la lista di Luigi de Magistris, ex magistrato ed ex sindaco di Napoli in cerca della poltrona di governatore della Calabria, lo candida per il Consiglio regionale. Ma prima del voto arriva la sentenza del Tribunale: 13 anni di carcere per 10 capi d’imputazione. A essere condannato non è il modello Riace, cioè l’accoglienza degli immigrati, come Lucano e i suoi compagni cercano di accreditare, ma i pasticci finanziari dell’ex sindaco con il denaro pubblico. False rendicontazioni, derrate alimentari che dovevano finire ai migranti e invece erano utilizzate a scopi privati, fatturazioni contraffatte, pieni di benzina inesistenti, prelievi di denaro contante senza giustificazione, finti acquisti di bombole, materiale di cancelleria, mobili, compravendita di case e viaggi all’estero. L’elenco è lungo e i reati contestati che hanno portato alla condanna vanno dalla truffa aggravata ai danni dello Stato al peculato.

Tuttavia, per le anime belle che lo hanno sempre sostenuto e ancora lo sostengono, Mimmo Lucano si è beccato 13 anni, più di quanto avesse chiesto la Procura, perché è buono e perché accoglieva i migranti. Sul web circola un appello di «giuristi e giuriste, studiosi e studiose del diritto e delle istituzioni» che, dopo aver premesso di non aver ancora letto le motivazioni della sentenza, manifestano dubbi, stupore e timore, parlando di «accanimento verso un uomo e una vicenda divenuti simbolo di una visione dell’accoglienza in Italia mirata alla costruzione di percorsi inclusivi effettivi e non alla burocratica osservanza dei protocolli ministeriali». I firmatari si dicono meravigliati e preoccupati per «il clima di ostilità che si respira a volte nelle aule giudiziarie nei confronti di chi, a vario titolo e in vari contesti, appartiene al mondo che esprime fattivamente solidarietà ai migranti».

In pratica, giuristi e giuriste, studiosi e studiose, sostengono che uomini simbolo come Lucano non devono essere valutati con metro dell’osservanza dei protocolli ministeriali e che nelle aule di giustizia non si deve applicare il codice, soprattutto se si ha di fronte il mondo dell’accoglienza. Insomma, se si organizzano finti matrimoni fra migranti e persone disabili solo per continuare a percepire i soldi lo si fa a fin di bene, così come accade con l’uso del denaro pubblico a scopo privato. Perché se si è buoni, la legge deve tenerne conto. Anzi, se si è buoni, la legge non vale.

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