A Firenze, due chef under 40 di cui sentiremo parlare
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A Firenze, due chef under 40 di cui sentiremo parlare

Nella culla del Rinascimento, i giovani riscrivono le regole della tradizione enogastronomica

A Firenze, patria del Rinascimento, tanti giovani chef stanno ricevendo riconoscimenti e si fanno apprezzare per passione, ricerca, creatività. Creano piatti innovativi a prova di Instagram, ma non è semplice #foodporn il loro, sono piatti studiati per stupire la vista ma soprattutto il palato con abbinamenti insoliti. Mettere il cuore in tutto quello che fanno è l’ingrediente che li accomuna ma non basta; hanno girato il mondo, conosciuto varie tecniche, sono allievi di grandi maestri e così sognano di entusiasmare gli ospiti con i loro piatti. Una generazione che ha l’onere e l’onore di portare nel futuro un passato enogastronomico glorioso.

Un esempio è lo Chef Lorenzo Romano, fiorentino classe ’89, dell’Insolita Trattoria a Firenze con i suoi celebri piatti camouflage. Dal 1952 in viale D’Annunzio, il locale ha imboccato la strada del divertissement gourmet e della deception gastronomica grazie a un giovane chef autodidatta che gioca con le percezioni sensoriali e cerca di ingannare il palato con gli occhi. Già, perché visitare oggi il ristorante significa cimentarsi nella ricerca di preparazioni e accostamenti inusuali che inducano il commensale a rivedere le proprie certezze in tema di percezioni visive.

Abbandonati i canoni della tradizione (ma non dimenticati né rinnegati, come dimostra la pasta spadellata seguendo la ricetta del ’52) ha imboccato con decisione la strada di un divertissement gourmet, con piatti insoliti come il Cheese'nt burger (in cui il formaggio è sostituito da una sfoglia di peperone e il manzo dal pulled pork) o il finto ossobuco sulla linea Milano-Firenze, fino al manifesto della cucina dell'Insolita Trattoria, il Ceci n’est pas un tomate, un finto pomodoro che strizza l’occhio al surrealismo e cita René Magritte. Un pomodoro che pomodoro non è, ripieno di burrata con gel di pomodoro, pane e olive.

Da qualche mese Lorenzo Romano ha elaborato un menù che definisce di pesce, ma solo visivamente, perché ogni portata è realizzata con ingredienti vegetali e di terra. Qualche esempio? Finte cozze, cannolicchio e capesante (con annesso secchiello di “sabbia”), le linguine allo scoglio con vongole e bottarga oppure il baccalà alla livornese. E cosa dire del polpo, in cui un evergreen tipicamente estivo viene riproposto con materie prime decisamente autunnali?

«Porto avanti una cucina quasi surrealista – spiega Lorenzo Romano - libera da schemi e limiti. Il fatto di essere autodidatta mi ha dato la possibilità di costruirmi un percorso del tutto personale, non legato alle tecniche tradizionali ed agli usi classici».

Altro esempio è lo Chef Giuseppe Papallo, classe ’84 del ristorante Architettura del Cibo, il fine dining nel quartiere delle Cure all’interno di un giardino costellato di piante ed alberi.

La struttura è caratterizzata da un’atmosfera intima e industrial chic, sospesa tra storia e avanguardia. Al centro della sala, quasi fosse una colonna, sorge un tronco di tiglio di 50 anni, mentre la cucina a vista ospita un leccio di 150 anni e i diversi ambienti sono separati da rigogliose piante verdi. Nel giro di pochi anni il ristorante è diventato un tempio del gusto, sotto la guida dello chef Giuseppe Papallo. Le sue origini – metà friulane e metà calabresi – si mescolano alla tradizione toscana per dar vita ad una cucina fatta di equilibri e sapori inediti.

La mano dello chef e della sua brigata si fa apprezzare nei tre menù degustazione: A mano libera, Architetture del mare e Architetture della terra. Nella carta primaverile spiccano: Viaggio in campagna - Garfagnina del Dini, verdure disidratate, gelato stracchino, Olio Evo; Nellaia a razzolare - Uovo biologico di Elia da Secciano & Variazione di carciofo morello; Ricordo della Calabria - Tonno rosso Belfagò, spezie, limone di Sicilia, pomodoro, sale maldon; A fuoco vivo - Animella, miso di zucca, asparagi, zabaione allo zafferano, finocchietto di mare; Pacchero Uno 61 - Ortica selvatica, latte di bufala, fava di cacao del Perù; Anatra in due versioni - Mela verde, olive Taggiasche, pepe Sichuan; Lombetto di grigio del Casentino - Scarola fermentata, Maionese di Dijon, gota di grigio Dentice atlantico; Aquanaria - Ratatouille, plancton marino, crudité floreali.

La carta dei vini e dei distillati è ben curata, pensata per accompagnare gli ospiti in un viaggio attraverso il mondo del “buon bere”.

Perché come diceva uno dei più grandi maestri italiani di tutti i tempi Gualtiero Marchesi: «Il buongustaio non s’intestardisce mai su un piatto particolare, né su un ristretto novero di essi ma è sempre all’insaziabile ricerca di nuovi sapori ed emozioni».

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Federico Minghi