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(Getty Images)
Tecnologia

Gigafactory non significa per forza anche «giga-profitti»

Sono quasi 150 le fabbriche di batterie che, si dice, saranno costruite nel mondo da qui al 2030. Ma la garanzia di successo, malgrado la domanda sia elevatissima, non è per nulla certa

Il termine “gigafactory” fu coniato da Elon Musk, il profeta della mobilità elettrica, per descrivere le fabbriche di batterie necessarie ad alimentare il futuro delle auto elettriche. Il prefisso “giga”, un moltiplicatore di grandezza dell’ordine del miliardo, spiega che si tratta di complessi industriali di enormi dimensioni ma anche che l’unità di misura della loro produzione è il gigawattora (GWh), ovvero milioni di chilowattora (kWh), unità di misura più comune, con cui si indica la capacità della batteria di un’auto elettrica.

Oggi, in Europa, sono pianificate o in costruzione decine di gigafactory e, secondo McKinsey e la Global Battery Alliance, dovranno essere costruite almeno 120-150 nuove gigafactory entro il 2030 a livello globale per soddisfare le domanda prevista. Ormai quotidianamente si dibatte sull'ascesa di queste “gigafabbriche” di batterie, sul loro ruolo nella geopolitica globale, sull’approvvigionamento dei minerali critici per alimentarne la produzione o sulle innovazioni della chimica. Ma non sembra venga posta altrettanta attenzione su un aspetto fondamentale per ogni attività industriale: le gigafactory fanno profitti?

Le gigafactory, nella supply chain globale delle auto elettriche, si trovano tra l’incudine dei fornitori di materie prime ed il martello delle case automobilistiche. Devono affrontare enormi pressioni sui prezzi delle materie prime, oltre il 70% dei costi di produzione delle celle, e devono lottare per ottenere adeguati ritorni dagli OEM alla disperata ricerca di rendere competitivi i prezzi delle auto elettriche, gli EVs.

Oltre ad essere un prodotto a basso margine, le batterie richiedono anche forti investimenti. In una conferenza dell'International Battery Seminar si è stimato tra gli 80 ed i 120 milioni di dollari per gigawattora per anno l’entità di investimenti prevista. Considerando che in Europa è prevista una domanda di circa 450 gigawattora al 2030 significa investimenti tra i 40 ed i 50 miliardi di dollari all’anno. L’odierna posizione dominante della Cina nella produzione di batterie è stata costruita, oltre agli investimenti privati, anche attraverso oltre 100 miliardi di dollari di sussidi governativi.

A cui vanno sommati agli aiuti, di difficile quantificazione ma assolutamente determinanti, delle State-owned enterprises cinesi del settore estrattivo nel costruire l'infrastruttura di estrazione e raffinazione di litio, cobalto e nichel per supportarle. Un approccio verticale integrato che parte dalla miniera e attraverso le fasi della raffinazione chimica e dello sviluppo tecnologico di processo arriva fino alle case automobilistiche. BYD e CATL investono ogni anno in ricerca e sviluppo circa 1 miliardo di dollari ciascuna, pari al 5% del loro fatturato.

L’analisi dei bilanci di alcune delle principali compagnie come CATL, Tesla, LG Energy Solution, Samsung SDI, BYD, SK Innovation, Panasonic ed altre ha consentito di trarre una serie di considerazioni significative. Considerazioni legate anche alla specificità aziendale: semplici produttori di batterie come CATL o produttori di auto elettriche come BYD e Tesla o compagnie diversificate come Panasonic. Negli ultimi 2-3 anni c’è stata un’impennata sia nella produzione che nelle vendite dovuta alla crescita del segmento EV, e questo si è riscontrato soprattutto per i grandi produttori come CATL, LG Energy Solutions e Samsung SDI.

Le grandi compagnie con attività diversificate, come Panasonic e SK Innovation, hanno avuto invece un andamento più costante, e questo potrebbe averli spinti a scorporare le loro divisioni batterie in singole società come nel caso di SK Innovation con SK On. Ma se guardiamo al margine di profitto netto per analizzare la redditività relativa, in percentuale del fatturato totale generato, si rileva che la maggior parte dei produttori di celle ha un margine di profitto netto del 2-3%. Solo i produttori di batterie come CATL o EVE hanno margini più elevati, nell'ordine dell'8-10%.

La ragione di questi risultati risiede nell’economia di scala. Come evidenziano i dati sul profitto lordo: un indicatore comparativo dell'efficienza di un'azienda nella produzione e nella vendita dei suoi prodotti. Questo parametro per le aziende con un fatturato di 100 milioni di dollari è di circa il 5%, mentre per quelle con un fatturato di 10 miliardi di dollari si avvicina al 30%. La conclusione che se ne trae è che la maggior parte delle gigafactory realizza margini limitati, tra l'1 e il 3%, mentre le grandi compagnie come CATL, 47 miliardi di dollari di fatturato e 30% del mercato, sono in grado di raggiungere l'8-10%.

A pesare sono molteplici fattori. Gli scarti di produzione sono un fardello gravoso, costituito da elettrodi e altri componenti, nonché da prodotti in-process e finiti che non superano il controllo di qualità. Lo spreco di materiale da tutti i processi produttivi può rappresentare tra il 10% ed il 30% della materia prima che, come sappiamo, incide pesantemente sul bilancio. Si è verificato come la capacità produttiva e l’efficienza procedano di pari passo: al crescere della prima migliora la seconda e naturalmente diminuisce anche il costo produttivo della singola cella. Samsung è passata da una capacità produttiva del 47% ed un rendimento del 70% del 2016 alla piena capacità del 2020 con un rendimento dell’88% ed un costo, per cella, sceso di circa 7 dollari.

Ma Samsung ha anche subito perdite per un valore di circa 1,7 miliardi di dollari tra il 2012 e il 2019 dalla divisione delle batterie per EVs. Solo nel 2021, per ogni dollaro che ha guadagnato vendendo batterie, Samsung ha ottenuto un profitto di 1 centesimo contro gli oltre 30 centesimi per dollaro che ottiene nei chip: nonostante il clamore è un mercato che non sembra così attraente in termini di redditività. Solo da poco la divisione batterie sta aumentando la redditività attraverso il perfezionamento di ogni singolo aspetto come ad esempio l’introduzione della negoziazione dei prezzi delle batterie con gli OEM in funzione dell’andamento del mercato globale dei metalli. Aspetto questo che presenta complessità diverse rispetto ai produttori cinesi.

Ma se i prezzi dei metalli, vista lo loro incidenza sul prodotto, costituiscono una voce che viene negoziata con le case automobilistiche un’ulteriore complicazione è legata al fatto che le batterie per EV hanno una durata di conservazione, proprio come il cibo, e devono essere consegnate alle case automobilistiche con tempistiche precise. Lo standard qualitativo delle batterie, secondo EV Volumes, peggiora con il trascorrere del tempo e quindi non possono essere conservate troppo a lungo. Non potendo realizzare grandi magazzini questo aspetto condiziona i volumi di produzione e conseguentemente incide sulle dinamiche dei costi.

Secondo analisi finanziarie effettuate sui produttori coreani vi sono altri fattori che limitano la redditività come la necessità di depositare parte dei ricavi, l'1-2%, come fondo di garanzia in caso di richiami e la necessità di forti e continui investimenti in termini di capacità produttiva per non perdere potenziali clienti a favore di concorrenti con capacità maggiori. Gli esperti del settore prevedono comunque che la redditività dei produttori coreani di batterie EV a regime salirà al 5%: la redditività media di cui oggi godono le aziende di ricambi auto.

Riusciranno realizzare profitti le gigafactory europee? Secondo molti esperti la possibilità che l’Europa raggiunga la Cina nel prossimo decennio utilizzando il medesimo approccio verticalmente integrato è quantomeno remota. Soprattutto tenendo conto della differenza tra le parole e le azioni della Commissione Ue. Il timore è che le gigafactory europee prima di realizzare utili debbano essere sostenute, per un numero imprecisato di anni, da fondi europei o dei paesi che le ospitano.

Gigafactory previste in Europa Dati Benchmark Mineral Intelligence

Gigafactory previste in Europa. Dati Benchmark Mineral Intelligence.

L’esperienza di Britishvolt, la prima gigafactory del Regno Unito, in fase di realizzazione con un investimento di 4,6 miliardi di dollari e ora in amministrazione controllata, pare un monito per tutti. A Britishvolt non mancava il mercato: le case automobilistiche britanniche, come Jaguar, Aston Martin, McLaren, Bentley e Lotus sono tutte attivamente impegnate a passare alla mobilità elettrica. Non mancavano nemmeno le materie prime: ha accordi con Glencore per la fornitura di cobalto, VKTR per la fornitura del solfato di nichel e con la cinese BTR New Material per la fornitura di grafite sintetica.

Eppure quando il governo britannico non ha erogato l’atteso finanziamento la situazione è precipitata. Il finanziamento era legato all’ottenimento di finanziamenti privati da parte della compagnia. Capitali di rischio che non sono stati reperiti per quanto ci fossero tutte le condizioni necessarie. In questi giorni si è manifestato l’interesse da parte di Scale Facilitation, con sede a New York, “un'azienda che crea aziende”, quindi non una realtà verticalmente impegnata nel settore. Come mai non si sono proposte le case automobilistiche britanniche? Forse perché, senza finanziamenti pubblici, le gigafactory non sono un mercato così attraente in termini di redditività.

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Giovanni Brussato