IRON BEAM
(Israeli Imod)
Difesa e Aerospazio

Iron Beam, il nuovo sistema anti missile di Israele, a colpi di laser

Molto meno costoso dei missili di Iron Dome ed estremamente preciso. Ecco come funziona il sistema di difesa ad energia concentrata

Infinitamente meno costoso, completamente privo di inquinamento, se si escludono i relitti dei missili nemici abbattuti. Questi, in breve, i motivi per i quali Israele ha iniziato il rapido dispiegamento del sistema di difesa aerea laser Helvs, da “high Energy Laser Weapon System” detto Iron Beam (Raggio di ferro), l’erede tecnologico dell’Iron Dome sviluppato negli ultimi cinque anni insieme con i colossi americani della Difesa, tra i quali Lockheed-Martin, e costruito in Israele dalla Rafael. Anche se semplificando al massimo possiamo definirla un’arma laser a tutti gli effetti, si tratta di quella che tecnicamente viene definita “a energia concentrata”, ovvero della possibilità di emettere un fascio della potenza di cento chilowatt con una concentrazione e precisione sufficienti per annientare un missile o un razzo in arrivo.

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Simili dispositivi sono già installati su talune unità navali americane, ma la versione terrestre è al suo debutto in questi giorni ed è efficace non soltanto contro i razzi di Hamas, ma anche contro droni, proiettili con propulsione propria usati dall’artiglieria missilistica, anche a distanza di chilometri. Con un ulteriore vantaggio: il rapporto costo-efficacia dell’arma laser ad alta energia, poiché ogni colpo dell’Iron Beam costa fino a mille dollari – dei quali circa tre di energia elettrica - contro il costo di un singolo missile intercettore Tamir del sistema Iron Dome, di circa 40-50mila dollari. La prova generale era avvenuta nel marzo 2022, quando i primi colpi di energia concentrata erano riusciti a neutralizzare alcuni droni utilizzati come bersagli, tuttavia nei programmi delle forze israeliane (Idf), il sistema avrebbe dovuto entrare in funzione soltanto nel 2025.

L’azienda nazionale che segue il progetto è la Rafael, la quale tuttavia a oggi dispone soltanto di alcuni prototipi, non sufficienti per coprire le esigenze di protezione di tutti i territori israeliani potenzialmente obiettivi delle milizie palestinesi, per questo motivo l’Iron Beam sarà per ora usato per rafforzare il sistema precedente rendendo più capillare la sua efficacia, integrando le batterie di fuoco con quelle a corto raggio acquisite dagli Stati Uniti, ovvero le Dem-Shorad da “soli” 50 kilowatt. Anche se la definizione di “arma laser” è altisonante e suona ancora un po’ fantascientifica, il 14 aprile 2022 il Ministero della Difesa israeliano aveva pubblicato un video declassificato delle prove in atto, nel quale reparti speciali dell’esercito dimostravano l’efficacia del nuovo sistema antiaereo laser intercettando e neutralizzando molteplici minacce aeree di diverso tipo nel deserto del Negev, con tanto di dichiarazione compiaciuta del generale Yaniv Rotem e dichiarazione dell’allora primo ministro Naftali Bennett, il quale aveva annunciato l’intenzione di implementare il sistema entro la fine del 2022.

Come tutti i progetti tecnologici anche Iron Beam ha il suo tallone d’Achille, ovvero le cattive condizioni meteorologiche, non tanto in termini di forte vento, variabile che affligge qualsiasi lancio balistico o di razzo, quando in fatto di copertura nuvolosa e attenuazione dell’energia causata dall0umidità e dalla pioggia. In altre parole, quanto viene “sparato” verso l’alto perde energia perché questa viene assorbita dall’umidità presente in sospensione, la quale localmente aumenta di temperatura. Ciò fa prevedere un’evoluzione del sistema: qualora si riusciranno a miniaturizzare i sistemi che possono produrre energia, sarà possibile installarli a bordo di velivoli – dapprima con e poi senza pilota a bordo - ribaltando quindi le traiettorie e rendendolo rischierabile con estrema rapidità. Del resto, quando nel 2017 si decise di approvare l’investimento per la sua realizzazione, Hezbollah aveva già raggiunto il considerevole numero di 13000 razzi lanciati con l’intenzione di dotarsi di droni armati di produzione iraniana. Così i sistemi Iron Dome, Patriot, Arrow e David’s Sling vengono oggi integrati con Iron Beam, potendo anche sfruttare in parte anche i sistemi di rilevamento radar.

Come funziona

Investito da un fascio di energia ad alta frequenza e concentrata, qualsiasi corpo si surriscalda. Se poi è metallico e porta a bordo dell’elettronica, questa è la prima a risultare danneggiata, e con lei la capacità di mantenere una traiettoria o, nel caso, il puntamento di un bersaglio. A fare questo lavoro sono sistemi Pep da “Pulsed Energy Projectile”, proiettili a energia pulsata, che emettono un impulso laser nella banda degli infrarossi, che altro non sono che onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda ed intensità tale da essere efficaci. Se rivolte verso esseri viventi provocano ustioni, dolore e stordimento, ma non risultano letali se non a distanza molto ravvicinata. Ed anche in questo campo la ricerca militare è molto attiva, cercando in pratica di realizzare armi non letali ma inabilitanti. E non soltanto in campo elettromagnetico ma anche acustico.

Dal punto di vista della sua gestione, un sistema Iron Beam risulta inizialmente più costoso di una batteria di missili, ma poi l’utilizzo è, come accennato, molto meno oneroso. Non mancano comunque gli svantaggi, oltre alle cattive condizioni meteo, le parti emittenti hanno la necessità di manutenzione continua poiché sono particolarmente delicate e devono essere sempre perfettamente pulite, cosa non facile nelle zone desertiche e sabbiose. Infine, questa tecnologia è da considerarsi comunque sperimentale e in rapida evoluzione seppure permangano limitazioni notevoli alla sua efficacia. Sempre il produttore israeliano Rafael dichiara che il suo sistema “Lite Beam”, ovvero un intercettore con una potenza di 7,5 kW, destinato a neutralizzare piccoli droni e bersagli terrestri, è efficace da una distanza di poche centinaia di metri fino a circa due chilometri, oltre i quali il “fascio” ovvero la forma del lobo d’energia che si propaga nello spazio, inevitabilmente perde concentrazione e si attenua.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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