elicottero raisi
(Ansa)
Difesa e Aerospazio

Le cause (possibili) dell'incidente all'elicottero di Raisi

Incidente al Presidente Raisi: maltempo e pressione per rientrare tra le ipotesi più accreditate

Sarà difficile sapere con esattezza la causa dell’incidente accaduto all’elicottero del presidente iraniano Ebrahim Raisi, la cui morte è stata confermata questa notte, cioè prima mattina in Iran: dalle ricostruzioni parrebbe che il Bell 212 sul quale viaggiava insieme con altre nove persone sia precipitato in una zona impervia nei dintorni della valle di Dizmar, al confine con l’Azerbaijan.

Stando alle ricostruzioni dei bollettini meteorologici e alle immagini trasmesse dai primi soccorritori, nella zona era presente pioggia e una fitta nebbia, e questo potrebbe aver contribuito alla tragedia. Le parti del relitto, quasi completamente carbonizzato, paiono raccolte in poco spazio contro un rilievo boscoso la cui quota, circa 1.900 metri, non è ancora tanto elevata da costituire una limitazione neppure se – come probabile - quell’elicottero fosse stato carico di carburante oltre che di passeggeri (ne trasporta fino a 12 ed erano in 10). Vero è che nella zona di Tabriz alcune vette superano i 4.000 metri, quota critica per tale elicottero così carico, dunque, è anche probabile che i piloti abbiano cercato di rimanere a contatto visivo con il suolo percorrendo valli più basse ma rimanendo intrappolati dalla scarsa visibilità e dai rilievi. Tecnicamente si parla di volo controllato contro il terreno (in sigla, CFIT), ma in questo caso è tutto da dimostrare. Nulla, tuttavia, può escludere un’avaria che ne abbia limitato le prestazioni, come un problema a uno dei due motori di cui è dotato il Bell, ma non ci sono notizie in tal senso. Come non ci sono conferme sul fatto che poco prima della tragedia i piloti abbiano effettivamente deciso di atterrare tra i villaggi di Brazin e Ard Shir, nella provincia dell'Azerbaigian orientale, dove sarebbe stata scattata l’ultima foto al presidente fuori dall’elicottero, ma poi di ripartire. E dove sarebbe nata la notizia che lo dava per salvo e in viaggio per rientrare a Teheran.

Sono ovviamente ipotesi, come l’accertare se effettivamente il comandante, riconosciuta l’impossibilità di proseguire, stesse cercando una piazzola per poter sbarcare i passeggeri permettendo loro di continuare il viaggio su un automezzo. Probabilmente mai sapremo, per esempio, quale fosse la reale dotazione di avionica presente a bordo, se l’elicottero fosse o meno dotato di sistemi per la segnalazione di prossimità del terreno, mentre dalle foto scattate poco dopo l’ultimo decollo esso parrebbe essere stato equipaggiato con un radar meteorologico.

Vero è che sanzioni e guerre hanno reso le flotte aeree iraniane vetuste e di conseguenza meno sicure, ma la missione di trasporto presidenziale organizzata in occasione dell’inaugurazione della nuova diga di Qiz Qalasi era costituita da un gruppo di tre elicotteri, con gli altri due, presumibilmente dei Mil-17 come scorta armata, a bonificare la rotta perché equipaggiati di sistemi antimissile, ed è certo che, una volta in volo, quello che procedeva davanti agli altri lungo la rotta avrebbe dovuto segnalare lo stato marginale delle condizioni meteorologiche. Ma da quanto è stato pubblicato dall’agenzia Tasnim News, alle 17 di ieri i Mi-17 erano rientrati sani e salvi. Un’altra ipotesi potrebbe riguardare la pressione del presidente sull’equipaggio per rientrare comunque all’orario previsto, stante che in certi regimi dire “no” significa essere condannati a morte.

Il modello di elicottero utilizzato, seppure sia l’evoluzione di un tipo la cui creazione risale alla fine degli anni Settanta – a sua volta derivato dagli Huey usati in Vietnam - è tra i più diffusi al mondo ed è tuttora in produzione sia da parte di Bell Helicopters (gruppo statunitense Textron), sia da aziende che ne hanno la concessione e diffuse in mezzo mondo. (Come in Asia, Africa e ricordiamo anche l’accordo con l’Italia che portò alla costruzione e alla manutenzione degli Agusta-Bell, linea dalla quale una decina di esemplari finirono in Iran nel 1978). E seppure l’Iran non possa avere accesso alle reti di assistenza ufficiali, non è complicato trovarne esemplari usati triangolando le forniture da Paesi “amici”, anche sfruttando le tante nazioni che per vetustà hanno radiato quel modello sostituendolo con versioni o modelli più moderni. Considerando che lo Scià ne aveva acquisiti oltre 250 nel 1979, è anche possibile che l’esemplare coinvolto nell’incidente fosse stato rimodernato mettendo insieme parti disponibili e altre importate successivamente.

Negli anni Duemila la flotta elicotteristica iraniana fu in parte rinnovata con una cinquantina di Mil Mi-8 e Mi-17 russi, ma pare che uno degli effetti della guerra russo-ucraina sia quello di aver fortemente limitato la disponibilità di ricambi da parte di Russian Helicopters, il consorzio delle industrie russe dell’ala rotante. Tutto questo fa quindi pensare a un incidente e allontana i sospetti di qualsiasi azione militare o da parte dei servizi di Paesi nemici dell’Iran. Oltre al presidente Raisi, i deceduti nell’impatto sono i due piloti (i cui nomi non sono stati resi noti), l’ayatollah Seyyed Ebrahim Rais al-Sadati; l’ayatollah Seyyed Muhammad Ali Al-Hashem; il ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian, i funzionari Malik Rahmati, Sardar Seyed Mehdi Mousavi e An Ansar al-Mahdi e altri due uomini la cui identità non è stata comunicata.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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