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(Ansa)
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Ebrahim Raisi, storia e gesta del Presidente del Terrore in Iran

Da sempre al centro delle vicende politiche anche prima dell'ascesa degli Ayatollah; a lui si deve anche la stretta sui diritti delle donne

Ebrahim Raisi è nato nel 1960 e cresciuto a Mashhad, la città che ospita il santuario sciita più sacro dell'Iran. Proveniente da una famiglia clericale, Raisi ha partecipato alla rivoluzione del 1979, che rovesciò lo scià sostenuto dall'Occidente, quando era ancora adolescente. Ha studiato nel seminario di Qom, il centro del sapere sciita, e successivamente ha conseguito un dottorato in giurisprudenza e diritto islamico presso l'Università Shahid Motahari di Teheran. Indossa un turbante nero, segno della sua discendenza dalla famiglia del profeta Maometto.

All'inizio degli anni '80, Raisi è diventato pubblico ministero, lavorando prima a Karaj e Hamadan. Nel 1985 è stato nominato procuratore generale aggiunto di Teheran. È noto per il suo ruolo chiave nell'esecuzione di massa di migliaia di prigionieri politici nel 1988. A soli 27 anni, è stato il più giovane dei quattro membri del cosiddetto "Comitato della Morte" di Teheran, istituito dal leader supremo Ayatollah Ruhollah Khomeini alla fine della guerra Iran-Iraq. Nel luglio 1988, Khomeini emise una fatwa ordinando l'esecuzione di tutti i prigionieri che sostenessero l'opposizione e fossero considerati nemici di Dio.

Raisi è stato procuratore generale di Teheran dal 1989 al 1994 e ha guidato l'Organizzazione per l'ispezione generale dal 1994 al 2004, incaricata di indagare sulla corruzione e sugli illeciti finanziari. Dal 2004 al 2014, ha ricoperto la carica di primo vicecapo della magistratura. Nel 2006 è stato eletto nell'Assemblea degli Esperti, responsabile della nomina e supervisione del leader supremo. Dopo le contestate elezioni presidenziali del 2009, che provocarono proteste di massa, Raisi ha sostenuto la repressione brutale e le incarcerazioni di massa con annessi omicidi. È stato procuratore generale dell'Iran dal 2014 al 2016.

Nel 2016, la Guida Suprema Khamenei lo ha nominato custode di Astan Quds Razavi, una fondazione di beneficenza con beni valutati in miliardi di dollari, incarico che ha mantenuto per tre anni. Alle elezioni presidenziali del 2017, Raisi è arrivato secondo con il 38% dei voti, perdendo contro il presidente in carica Hassan Rouhani, che ha ottenuto il 57% dei voti. Nel 2019, Khamenei lo ha nominato capo della giustizia iraniana e vicecapo dell'Assemblea degli Esperti.

Raisi ha vinto le elezioni presidenziali iraniane del 2021, un voto che ha visto l'affluenza più bassa nella storia della Repubblica Islamica ed è stato è stato sanzionato dagli Stati Uniti in parte per il suo coinvolgimento nell'esecuzione di massa di migliaia di prigionieri politici nel 1988, alla fine della sanguinosa guerra Iran-Iraq. Sotto Raisi, l’Iran ora arricchisce l’uranio a livelli quasi nucleari e ostacola tutte le ispezioni internazionali. L’Iran al pari della Nord Corea ha armato la Russia nella sua guerra contro l’Ucraina, oltre a lanciare un massiccio attacco con droni e missili contro Israele nel contesto della sua guerra contro Hamas nella Striscia di Gaza. Ha anche continuato finanziare ed armare gruppi terroristici in Medio Oriente, come i ribelli Houthi dello Yemen e gli Hezbollah del Libano oltre ad Hamas e alla Jihad islamica.

Ebrahim Raisi è anche colui che ha stretto il paese nel terrore ed in particolare le donne. La condizione delle donne in Iran è fondata su quattro pilastri: odio, disprezzo, violenza e ipocrisia. Per comprenderla appieno, è fondamentale esaminare il ruolo riservato loro nel Codice Penale Islamico. Questo codice, introdotto inizialmente sotto forma di fatwa dopo la rivoluzione khomeinista del 1979 e successivamente codificato in legge, include punizioni corporali estremamente violente. Consente inoltre al potere politico di interferire nella sfera privata delle persone, giustificando tali intrusioni come lotta ai "crimini morali" e soggiornando così a un controllo costante. Questo contesto non solo promuove la violenza contro le donne, ma in alcuni casi nega loro persino il diritto fondamentale alla vita.

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Stefano Piazza