
Roger Daltrey, ritorno al soul con As long as I have you - Recensione
Il brillante album solista del frontman degli Who, tra brani inediti e cover. In sette canzoni suona Pete Townshend
"Questo è un ritorno alle origini, a prima che Pete Townshend iniziasse a scrivere le nostre canzoni, quando eravamo una teenage band che suonava musica soul per poche persone in una chiesa. Questo è quello che eravamo, una soul band. Adesso posso suonare il soul con tutta l’esperienza di cui c’è bisogno per farlo. La vita ti insegna cosa è il soul".
Con queste parole Roger Daltrey introduce all'ascolto del suo album solista prodotto da Dave Eringa (Manic Street Preachers) con una tracklist che alterna ottimi brani inediti e cover che hanno ispirato Daltrey. Da un'intrigante versione di Into My Arms di Nick Cave, all'ottimo remake di You Haven’t Done Nothing di Stevie Wonder, a How Far di Stephen Stills. La title track, invece, è stata incisa originariamente da Garnet Mimms (il soul vocalist americano di Cry Baby, interpretata anche da Janis Joplin) nel 1964, l’anno in cui Daltrey, Townshend, Entwistle e Moon cambiarono il loro nome da The High Numbers a The Who.
As long as I have you è un gran bel disco nel segno dell'intensità, del soul rock e di una voce potente ed espressiva come poche altre. Con Daltrey in sette canzoni c'è Pete Townshend. Giusto per rimarcare quanto questa musica, il soul, abbia infuenzato il songwriting degli Who.
I tre brani cult:Where is a man to go? You haven't done nothing, Always heading home.