Nick Cave incanta Roma - Recensione e scaletta
Musica

Nick Cave incanta Roma - Recensione e scaletta

Il bardo di Melbourne, supportato dai Bad Seeds, ha stregato il Palalottomatica con un continuo saliscendi di emozioni

Vita e morte. Amore e paura. Redenzione e dannazione.

Dalla tensione tra questi opposti trae linfa la poetica di Nick Cave, che, supportato dai suoi fedeli Bad Seeds, ha confermato anche ieri sera al Palalottomatica di Roma di avere l’abilità di un Caravaggio nel far emergere dal buio più desolato squarci melodici di straordinaria nitidezza.

Per il bardo di Melbourne il live è la dimensione privilegiata dove far emergere le sue due anime, quella incendiaria e quella intimista, creando una straniante alternanza di emozioni come solo i grandi del rock sanno fare.

I suoi concerti sono un’esperienza emotiva da provare almeno una volta nella vita, anche per il rapporto quasi carnale che si crea tra Cave e i suoi adepti, con un muro di mani che lo cercano e lo toccano come in attesa di una rivelazione da questo carismatico e imprevedibile predicatore laico.

Lunghi capelli neri lucidi, abito immancabilmente nero, volto emaciato e pallido, sguardo tetro e profondo, Nick Cave è dotato di un carisma magnetico, che gli consente di portare il pubblico dove vuole lui e di incatenarlo per oltre due ore senza un passaggio a vuoto o un calo di intensità.

Nell’ultimo album Skeleton Tree, segnato dalla tragica morte del figlio Arthur, precipitato a soli 15 anni da una ripida scogliera presso Brighton, Cave ha accantonato musicalmente la sciabola punk a favore del fioretto, mostrando il suo lato più intimo e sentimentale, senza rinunciare, però, alla tensione latente che si respira nella sua musica e soprattutto alla crudezza nel raccontare il dolore con una sincerità disarmante.

In molti si chiedevano, dopo un lutto così lacerante, che fa il paio con il quarantennale senso di colpa per la scomparsa del padre (morto in un incidente d'auto mentre andava a prendere in carcere il figlio dopo una bravata), come sarebbe stato oggi un concerto di Nick Cave e se il cantante avrebbe avuto ancora la rabbia punk che caratterizzava le sue performance.

La risposta è stata più che positiva: oggi più che mai Nick ha bisogno di stringere quelle mani che si protendono verso di lui, come se avesse bisogno dell'energia di tutti per superare quel dolore straziante che rivive ogni sera attraverso le canzoni autobiografiche di Skeleton Tree.

Il pubblico, lungi da ogni retorica, è davvero il settimo componente dei Bad Seeds, encomiabili nella loro capacità di assecondare i saliscendi emotivi delle sue canzoni, esaltandone al massimo il pathos.

L'incipit del concerto è affidato a tre brani di Skeleton Tree: Anthrocene è incentrata su voce, piano e cori, Jesus Alone è scandita da una batteria marziale e dal suono inquietante del theremin suonato da Warren Ellis, Magneto, che contiene la frase "one more time with feeling" scelta per il suo ultimo film, scatena per la prima volta il ballo sghembo di Cave, che dà il via al baccanale con la ricerca ossessiva delle mani degli spettatori-adepti.

"Grazie Roma,thank you, are you ready?". Il saluto del cantante preannuncia l'anabasi di Higgs Boson Blues, accompagnata non a caso da luci rosse sul palco, una canzone lenta, cadenzata e ipnotica, che ricorda le migliori ballad di Neil Young.

Il mantra "boom boom boom, can you feel my heartbeat" viene ripetuto con il fervore del predicatore battista, mentre poggia le mani di alcuni fan sul petto per far sentire loro il battito del cuore e dirige il coro con le braccia a mo' di maestro d'orchestra.

In From her to eternity le luci sono accecanti, così come è accecante la performance vocale di Cave, in cui emerge tutta la sua anima punk, quasi posseduto dal demone del rock, mentre Warren Ellis brutalizza il violino con note distorte e allucinate.

In Tupelo, selvaggia e ossessiva, Nick si trasforma in un Elvis Presley luciferino, mentre per Jubilee Street chiede la massima concentrazione al pubblico, incantato dalle chitarre ammalianti e pericolose dei Bad Seeds, per poi scatenarsi nel finale esaltante della canzone, salutato da un boato liberatorio del pubblico.

Dopo tanta adrenalina, Cave, da consumato entertainer, si siede al pianoforte per le splendide ballads The ship Song, introdotta da un assolo di violino da brividi di Warren Ellis, e Into my arms, la canzone che ogni donna vorebbe sentirsi dedicare, che scatena il singalong del Palalottomatica.

La malinconica Girl in amber, sorretta da cori celestiali, e la dolente I need you, quasi insostenibile nelle parti dedicate al figlio scomparso, conducono il live verso il finale catartico di Red right hand, con le sue spaventose accelerazioni, e la vibrante, tiratissima The mercy seat, che incendia la platea.

L'episodio meno felice del concerto è il duetto virtuale con il soprano danese Else Torp in Distant Sky, ma è un piccolo vulunus che la successiva Skeleton Tree, title track dell'ultimo album, riscatta immediatamente.

I Bad Seeds salutano il pubblico e si riposano qualche minuto prima del generoso e spettacolare bis.

In The wipping song Nick Cave scende dal palco, facendosi largo in mezzo al pubblico che lo abbraccia e lo tocca come se fosse il messia.

Issandosi su una postazione della telecamera, sotto il primo anello del Palalottomatica, il bardo di Melbourne chiede agli spettatori di "mettere via il telefono, perchè adesso avete bisogno di due mani", in modo da applaudire ritmicamente alcuni passaggi della canzone.

In Stagger Lee, il brano più funky del suo repertorio in cui Nick canta in modo quasi rappato, il pubblico viene invitato sopra il palco, in un momento di grande esaltazione collettiva, guidando il coro "Yeah yeah yeah" che viene urlato da tutti a pieni polmoni.

L’eterea ballad Push the sky away, con la sua contagiosa linea melodica, chiude dopo oltre due ore il concerto, guadagnando una meritata standing ovation del Palalottomatica, ultima tappa italiana del tour europeo dopo Padova e Milano.

Sono davvero pochi gli artisti con il carisma, la comunicativa e l'intensità di Nick Cave, senza dubbio uno dei migliori frontman della storia del rock.

I Bad Seeds, in cui spiccano il violino indemoniato di Warren Ellis e l’inquietante organo elettrico di Barry Adamson, creano dietro di lui un muro del suono spectoriano, assecondando alla perfezione i saliscendi emotivi che caratterizzano la sua musica.

Quello di Roma non è stato un mero concerto, ma una vera e propria celebrazione del potere catartico del rock, officiata da un fuoriclasse come il reverendo Nick Cave.

Ieri sera, in una tiepida serata autunnale, il cantante ha parlato al cuore di ciascuno di noi, suggerendoci che la morte non è che l'altra faccia della vita, ciò che gli conferisce la sua urgenza, che il contrario dell'amore non è l'odio ma la paura, che non può esserci redenzione senza prima aver attraversato il deserto del peccato e del dolore.

La setlist del concerto a Roma dell'8 novembre 2017

Anthrocene
Jesus Alone
Magneto
Higgs Boson Blues
From Her to Eternity
Tupelo
Jubilee Street
The Ship Song
Into My Arms
Girl in Amber
I Need You
Red Right Hand
The Mercy Seat
Distant Sky
Skeleton Tree

BIS
The Weeping Song
Stagger Lee
Push the sky away

Kevin Winter/Getty Images
Nick Cave al pianoforte

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Gabriele Antonucci