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Salute

Se in Europa va «in fumo» il diritto di scegliere

L’opinione pubblica chiede a gran voce alle istituzioni dell’Ue di non equiparare le sigarette alle soluzioni di nuova generazione. Un appello condiviso da prestigiosi studi, che però rischia di cadere nel vuoto

Fino a 3 anni fa Michele R. fumava di continuo, più di 20 volte al giorno, poi è riuscito a smettere «grazie alla sigaretta elettronica e ai liquidi aromatizzati». Fabiano Z. ha chiuso con il suo passato: «Da fumatore avevo sempre mal di testa, avevo bisogno giornalmente di farmaci antidolorifici. Da quando utilizzo i vaporizzatori personali, da 7 anni, non prendo più pastiglie, sono dimagrito di 40 chili, sto bene, respiro benissimo, ho riacquistato il gusto dei cibi». Aggiunge: «Mai più una sigaretta», scritto tutto in maiuscolo, lettera dopo lettera, per dare enfasi al concetto.

Marco D. si è fatto un regalo: si è dato la possibilità «di ridurre il danno che mi stavo recando da solo», mentre un anonimo, pure lui dall’Italia, racconta la sua storia: «Ho iniziato a fumare rubando le sigarette a mio padre, avevo poco più di 16 anni, erano i primi Anni Novanta. Solo nel 2018 sono riuscito a dire definitivamente basta». Non è stato facile, però la perseveranza ha pagato: «Dopo tanti tentativi falliti sono passato alle Iqos e non sto toccando, da quel momento, le sigarette tradizionali».

Di commenti così, con dentro ricordi, esperienze, spaccati di vita, ce ne sono migliaia. Anzi, per la precisione, 24.359 soltanto nel 2022. Troppi perché siano pilotati, inautentici, trascurabili. Sono arrivati da buona parte del Vecchio Continente; per una quota importante, circa il 19 per cento, quasi un quinto del totale, sono stati scritti da cittadini del nostro Paese.

L’Italia, è evidente, è matematico, ci tiene a far sentire la sua voce. Ha un ruolo da protagonista nella consultazione pubblica della Commissione Europea per la valutazione del quadro legislativo per la lotta al tabagismo. Ovvero uno degli obiettivi più ambiziosi dell’Ue, che si è imposta di vincere per sempre la guerra contro il fumo indicandolo come la priorità da affrontare nel piano di battaglia contro il cancro.

Il traguardo è fissato al 2040, per centrarlo arriveranno presto direttive e norme ad hoc. Per non dare l’impressione che siano calate dall’alto, quantomeno per ascoltare i pareri dell’opinione pubblica – incluse le organizzazioni e i portatori d’interesse nel settore – le istituzioni comunitarie hanno invitato a esprimersi online. L’anno scorso dal 20 maggio al 17 giugno, quest’anno per un periodo più lungo: fino alla mezzanotte del prossimo 16 maggio, ora di Bruxelles. Chiunque sul punto abbia qualcosa da dire, anzi da digitare, può farlo adesso cliccando qui.

Nel 2023 la tendenza è persino più evidente rispetto a dodici mesi fa: al momento della chiusura di quest’articolo, l’Italia figurava al primo posto tra i Paesi europei con il 24 per cento dei commenti. Per una buona parte, con dentro la richiesta di riconoscere al rischio ridotto il ruolo che merita, evitando di mettere sullo stesso piano le sigarette tradizionali e i dispositivi di nuova generazione. Insomma, non fare di tutta l’erba un fascio. L’opposto di quello che sembra essere l’orientamento prevalente nel nostro Paese, dove prestigiosi istituti medico-scientifici lanciano allarmi legati all’uso di sigarette elettroniche e affini, pur riconoscendo a tali soluzioni una minore tossicità rispetto alle classiche bionde. Una dissonanza che, inoltre, fa sorgere spontanea una domanda: com’è possibile che il percepito delle persone comuni sia così distante da questi allarmi?

Le pagine consultabili facilmente online sul sito della Commissione Europea, con i loro refusi, le improprietà grammaticali frutto della fretta e del trasporto del momento, sono uno strumento prezioso per misurare quello che in inglese si chiama sentiment: l’umore autentico, senza filtri, su un tema delicato di salute pubblica, con un impatto netto sulla vita quotidiana di milioni di persone. Che, in coro, frase dopo frase, commento dopo commento, insistono su un paio di punti cruciali: poter ricevere informazioni chiare da parte delle istituzioni circa i prodotti senza combustione, per riuscire ad abbandonare le sigarette tradizionali; passare dalla teoria alla pratica, dai concetti astratti all’azione: non inasprire le norme verso le soluzioni alternative, piuttosto vederne riconosciute a livello legislativo, e di tassazione, le peculiarità e il ruolo.

Ilse G., dalla Germania, giudica un peccato che tali strade «non vengano prese sufficientemente in considerazione» perché «si perde una grande opportunità di prevenzione della salute». E Markus W., suo connazionale, si scaglia contro «la continua regolamentazione» che rende «sempre più difficile per i tabagisti passare ad alternative meno dannose o abbandonare del tutto la loro dipendenza».

David O. M., spagnolo, ex fumatore incallito fino alla svolta delle sigarette elettroniche, racconta: «La mia vita è cambiata completamente. L’inalazione di vapore aromatizzato mi ha fatto dimenticare il fumo».

Certo, quando si parla di scienza è poco serio, se non addirittura pericoloso, affidarsi al caso singolo, al relativismo delle esperienze soggettive. C’è però tutta una robusta letteratura che conferma le storie personali.

L’ultima estesa riflessione sul tema è stata pubblicata poche settimane fa su Nature, ovvero la rivista scientifica più importante e quotata al mondo. È un corposo documento firmato da esperti e ricercatori di varie università inglesi e americane, in particolare riferimenti del sapere globale come il King’s College di Londra e la scuola di medicina di Harvard.

Le loro conclusioni sono cristalline: «Riteniamo che i governi, i gruppi di professionisti del settore medico e i singoli operatori sanitari… debbano prendere in maggiore considerazione il potenziale delle sigarette elettroniche per aumentare la cessazione del fumo». E subito dopo: «Le sigarette elettroniche non sono la formula magica che porrà fine alla devastazione causata dal fumo di sigaretta, ma possono contribuire a questo ambizioso obiettivo di salute pubblica».

Le basi di dati che spingono a queste affermazioni, com’è lecito aspettarsi, sono ampie e documentate. Tra le evidenze principali citate: l’uso di e-cig ha portato in nazioni come gli Usa e il Regno Unito «ad aumenti nell’abbandono del fumo tra il 10 e il 15 per cento»; più avanti si afferma invece che «i potenziali danni a lungo termine (dei prodotti di nuova generazione, ndr) sono probabilmente sostanzialmente inferiori a quelli associati al fumo».

L’articolo si spinge oltre, sottolinea l’opportunità di rendere note queste evidenze al grande pubblico, pur con le giuste cautele: «L’accettazione della promozione delle sigarette elettroniche come strumento per la cessazione del fumo» conclude lo studio «dipenderà probabilmente dai continui sforzi per ridurre l’accesso e l’uso dei prodotti da parte dei giovani che non hanno mai fumato. I due obiettivi possono e devono coesistere».

Il rischio ridotto va raccontato e la tutela dei minori non può essere usata come pretesto per non farlo. È quello che suggerisce la scienza e che chiedono i cittadini. Le istituzioni hanno il dovere di ascoltarli, non possono lasciare che le loro parole vadano in fumo.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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