Ilva
(Ansa)
Politica

Il piano ilva voluto da Conte bis è a carbone, al di là delle promesse Pd-M5S

Draghi, Conte, Letta, tutti al capezzale del luogo simbolo dell'acciaieria italiana che diventa terreno di scontro elettorale

Domenica 12 giugno a Taranto si vota per le amministrative, ma la scelta sul nuovo sindaco incide su tutto il Paese e il suo futuro industriale ed economico, perché come sempre c’è di mezzo l’Ilva, ormai azienda di stato.

Per questo ancora una volta è intervenuto Draghi proprio ieri: “Il Governo intende riportare l’Ilva a quello che era quando era competitiva, la più grande acciaieria d’Europa, e non possiamo permetterci che non produca ai livelli a cui è capace di fare, e a cui produce anche oggi”.

Per questo nell’ultima settimana di campagna elettorale a Taranto arrivano Enrico Letta e Giuseppe Conte, per sostenere una linea opposta a quella del Presidente Draghi e del governo. Pd e 5 stelle sono alleati a Taranto a sostengo del candidato sindaco scelto da Emiliano, l’unico che non partecipa ai confronti con i competitor neppure se organizzati dalla Rai.

Mentre Giorgia Meloni, che aveva annunciato la sua presenza, ha preferito annullarla all’ultimo momento per andare invece in masseria proprio da Emiliano.

Come pure Giorgetti, atteso in fabbrica, ha annullato la presenza per evitare contestazioni già annunciate dalla Uilm. Il ministro infatti sono due anni che ogni volta trova una scusa per posticipare l’annunciato piano della siderurgia nazionale.

Ma partiamo dal dato attuale: il piano industriale odierno dello stabilimento Ilva è quello firmato a dicembre 2020 durante il governo Conte dagli allora ministri Pd e 5stelle Gualtieri e Patuanelli con l’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri. Lo stesso identico piano è stato confermato a fine maggio 2022 con la proroga di altri due anni firmata per la vendita degli impianti e l’aumento di capitale di Invitalia.

Questo piano voluto e firmato dal governo Conte Due prevede una produzione di 8 milioni di tonnellate annue entro il 2025, di cui 5,7 milioni da altoforno e 2,5 milioni da forno elettrico. Per raggiungere questi livelli dal 2023 deve essere riavviato afo 5, contemporaneamente alla costruzione di un forno elettrico e al mantenimento di afo4. Per raggiungerlo serve un investimento totale per piano industriale e ambientale di 4 miliardi. Due ne ha già spesi ArcelorMittal per il piano ambientale, compiuto già per il 90 per cento delle prescrizioni e in perfetto cronoprogramma per essere completato ad agosto 2023.

Il rispetto di questo piano, come sta avvenendo, corrisponde secondo la Corte Costituzionale al perfetto bilanciamento tra diritto alla salute e al lavoro (con buona pace della corte d’Assise di Taranto).

La cifra di 8 milioni di tonnellate è quella che pone in equilibrio finanziario la fabbrica, e il mantenimento di tutta la forza lavoro (anche se il forno elettrico la dimezza). Per passare dai 6 milioni di tonnellate autorizzate agli 8 servirà una nuova Autorizzazione Integrata ambientale.

Nel 2021 però l’azienda ha prodotto poco più di 4 milioni di tonnellate, la metà del punto di pareggio, e ad oggi si attesta sugli stessi numeri. Questo ha comportato la decisione del Ministro Orlando di mettere 3 mila lavoratori in cassa integrazione. Eppure oggi il mercato italiano chiede molto più acciaio. E Ilva ha tutte le autorizzazioni per farlo. Per questo Draghi chiede di aumentare la produzione. Ma allora perché non viene fatto? Da un lato ci sono difficoltà economiche dovute a una mancanza di liquidità, dato che il Governo oltre ai 400 milioni per il primo ingresso di capitale, e ai fondi spesi per la cigs, non ha ancora investito nulla.

Dall’altra c’è il vero problema che da dieci anni affligge la fabbrica insieme alla magistratura: la campagna elettorale.

E così mentre proprio pd e 5 stelle due anni fa al governo hanno firmato il piano a 8 milioni con ciclo integrale a carbone, oggi, ancora una volta, come nel 2018 quando presero oltre il 50 per cento in città promettendo la chiusura della fabbrica, si ripresentano in campagna elettorale a Taranto promettendo fantomatiche “riconversioni” come la chiama Conte, o “decarbonizzazione” come la chiama Letta. Parole vuote che non vogliono dire niente, slogan elettorali senza aver mai mostrato un piano concreto. Ma soprattutto lontani da quello che loro stessi hanno voluto e firmato.

Conte sarà in città venerdì per chiudere la campagna elettorale dei 5 stelle, e anziché incontrare gli operai in fabbrica come fece la vigilia di Natale di due anni fa rinunciando alla causa del secolo, questa volta incontra gli allevatori di cozze. Di Ilva dice solo che ci vuole la riconversione senza specificare a cosa. E chiede la valutazione integrata dell’impatto sanitario, un documento che le agenzie della Regione Puglia si sono rifiutate di elaborare rispetto alle prescrizioni ambientali fin qui attuate, e che ora il Mite ha commissionato ad Ispra.

A Draghi hanno risposto subito i Verdi di Bonelli, in coalizione a Taranto con pd e 5 stelle in sostengo di Melucci: ““Proprio mentre siamo qui, a sostegno della lista di Europa Verde e del candidato Sindaco Melucci, che ha firmato l’ordinanza di chiusura dell’area a caldo dell’Ilva, leggiamo le parole allarmanti di Draghi che, con dichiarazioni propagandistiche, prosegue nella narrativa di questo Governo nel voler rendere l’acciaieria di Taranto la più grande d’Europa. Ci chiediamo come possa questo Governo continuare ad ignorare le grida d’aiuto dei cittadini di Taranto che chiedono che sia rispettato il loro diritto alla salute e alla vita, che non è compatibile con la logica del profitto che Draghi continua a perseguire.” Ma come fa Letta a seguire queste persone e la loro linea politica, contro Draghi?

Anche il segretario nazionale del Pd è venuto a Taranto martedì scorso, in barca, e Come Conte ha incontrato i mitilicoltori lontano dalla fabbrica e dagli operai in cassa integrazione.

Il candidato sindaco Melucci sul palco con Enrico Letta e Mario Turco l’ha detto testualmente: “non vogliamo più la fabbrica”: cosa lontana dai progetti di governo, ma anche dalla fattibilità. Senza area a a caldo Ilva chiude, come Trieste e Piombino. Letta gli ha risposto “dobbiamo continuare i progetti di decarbonizzazione fatti dalla regione Puglia perché Emiliano sull’ambiente ha fatto molto bene”. Emiliano, che era con loro sul palco nonostante il Csm e la Corte Costituzionale gli abbiano vietato di partecipare alla vita di partito, ha detto di fronte a Letta che finalmente il Pd nazionale segue la sua linea.

Proprio rispetto alle parole di Draghi sull’aumento di produzione Ilva, il presidente della Puglia ha risposto: “il presidente Draghi ha preso impegno per la decarbonizzazione”.

Ma al di la degli slogan, cosa vuol dire concretamente decarbonizzare Ilva? Farla andare senza carbone? E come? Non ci sono né gas, né idrogeno, nè altre tecnologie disponibili per produrre 8 milioni di acciaio senza carbone.

L’unico a notarlo è Carlo Calenda che, pubblicando le due dichiarazioni contrastanti di Draghi ed Emiliano, twitta: “queste due dichiarazioni sono incompatibili: se Ilva deve tornare a essere la prima in Ue lo potrà fare solo mantenendo la produzione a carbone (e applicando le prescrizione ambientali fatte per la gara sarebbe anche la più green). Come al solito Emiliano sente ciò che vuole”.

Con lui Palombella, segretario generale della Uilm che con gli altri segretari nazionali dei metalmeccanici sarà a Taranto il 15 giugno: la cosa che mi aspetto è che finiscano le dichiarazioni ad effetto. Troppi annunci si sono fatti in questi anni, ma ci sono 5 mila lavoratori in cassa integrazione e bisogna passare ai fatti concreti”. E questo fatto concreto è appunto la data di riavvio di afo5, l’unico che può rilanciare la fabbrica e farla tornare ad essere come vuole Draghi la prima in Europa, ma che ogni volta viene fermato da una campagna elettorale. Dato che nessuno dei piani firmati e autorizzati per Ilva ad oggi prevede il non utilizzo del carbone, la chiusura dell’area a caldo, o l’abbandono del ciclo integrale.

Anche se gli stessi che quei piani li hanno firmati vengono a Taranto in campagna elettorale a raccontare frottole e slogan vuoti.

Il guaio è che chiunque vinca le amministrative, se gli stessi leader nazionale non hanno il coraggio di dire alla luce del sole sul territorio quello che poi sottoscrivono nei piani, l’Italia sarà costretta a comprare acciaio inquinante dalla Cina, e Taranto ad altri 5 anni di cassa integrazione. La vera agonia della dignità, del lavoro, della crescita degli uomini.

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Annarita Digiorgio