Riforma Draghi? Non basta l'Iperf. Ma condono e tagli sui capital gain
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Riforma Draghi? Non basta l'Iperf. Ma condono e tagli sui capital gain

L'operazione del premier potrebbe essere prodromica alla trasformazione del sistema tributario almeno su tre punti: la stipula di una pace fiscale; una riduzione dell'imposizione sulle imprese; una finanziarizzazione non coatta dell'economia italiana. Ma dovrà essere una mossa politica e molto coraggiosa.

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La leva fiscale è lo strumento più potente di cui uno Stato dispone. Attraverso la composizione del prelievo fiscale un Paese stabilisce le sue priorità e i gruppi sociali e le attività che intende favorire o penalizzare. Nel suo discorso di insediamento Mario Draghi ha accennato alla possibilità di una riforma del fisco, tuttavia il Presidente del Consiglio si è più soffermato sul come, una commissione di esperti al fine di redigerla, che sul cosa, al netto di un accenno al ritocco a ribasso dell'Irpef e al mantenimento della progressività fiscale. In un governo di unità nazionale si dovranno raggiungere compromessi: la destra può rinunciare ad una flat tax al momento impraticabile e la sinistra all'aumento delle tasse sul patrimonio mobiliare ed immobiliare. Ciò premesso, l'operazione Draghi potrebbe essere prodromica alla trasformazione del sistema tributario almeno su tre punti: la stipula di una pace fiscale; una riduzione dell'imposizione sulle imprese; una finanziarizzazione non coatta dell'economia italiana.

Il primo punto, che non piace all'ala sinistra del governo, s'impone come una necessità. Centinaia di migliaia di imprese rischiano di non sopravvivere alle decine di milioni (50 secondo alcuni esperti) di cartelle esattoriali che partiranno dall'Agenzia delle Entrate nel 2021. Come ha giustamente notato Daniele Capezzone "la sola proroga di rottamazione e saldo e stralcio non basta. E tutte le altre cartelle? Non basta nemmeno prometterne una diluizione temporale dell'invio." Anche considerata l'esiguità dei ristori fino ad oggi ricevuti dalle micro e piccole imprese, ancora costrette a subire le chiusure per fronteggiare la pandemia, non è pensabile che queste si ritrovino sotto la spada di Damocle del fisco. Urge una grande sanatoria, poiché é evidente che lo Stato non riuscirà mai a recuperare quanto legalmente dovuto dalle imprese e dagli autonomi. Ciò permetterebbe anche, senza ricorrere a categorie moraleggianti che in politica non servono, a far emergere il sommerso. Un condono che dovrebbe essere esteso anche per il rientro dei capitali dall'estero per rendere organico e completo l'intervento. Recuperare quanto si può è pur sempre meglio di niente.

Il secondo punto, invece, è di politica fiscale: perché limitarsi ad un piccolo ribasso dell'Irpef quando per rilanciare l'economia servono investimenti? Sarebbe più conveniente portare l'Ires a livelli tedeschi (15% invece dell'attuale 26%). È da qui che si dovrebbe partire, anche puntando su benefici selettivi e concentrati, che privilegino le imprese che aumentano l'occupazione e, in questo momento, le imprese che rinunciano alla comoda strada di mettere in cassa integrazione i loro dipendenti. Ciò renderebbe anche più attrattivo il Paese per investimenti esteri e aiuterebbe le imprese italiane a restare sul territorio e competere meglio con il resto del mondo in un momento di grande difficoltà. Se come Draghi ha mostrato l'intenzione di voler ridurre i sussidi per le aziende-zombie, quelle che non riescono a stare da sole sul mercato, e allora quelle risorse potrebbero andare a favore di una riduzione fiscale per le altre imprese.

Da ultimo, si deve affrontare a viso aperto uno dei principali problemi, e al tempo stesso una delle opportunità maggiori, dell'economia italiana: il risparmio privato congelato in immobili e nei conti correnti. Senza ricorrere alle idee predatorie del passato, cioè a patrimoniali che distruggono fiducia e mercati. Si deve creare un incentivo ad investire quei risparmi, anche sfruttando i passaggi generazionali. In tal senso, si dovrebbe mettere mano alla tassazione dei cosiddetti capital gain, cioè i profitti derivanti dagli investimenti finanziari, lievitata negli ultimi anni fino al 26%. Gli investimenti da conti correnti ed immobili verso circuiti finanziari vanno resi convenienti con una radicale riduzione dell'imposizione. I PIR (piani individuali di risparmio), ad esempio, sono stati una buona esperienza per risparmiatori ed imprese italiane. Strumenti finanziari di questo genere, accessibili anche ai piccoli risparmiatori e canalizzati sulle imprese italiane, vanno favoriti. Forme varie di venture capital, che spostino il risparmio verso le imprese, possono fare un gran bene all'economia italiana.

Su tali questioni si pone la sfida fiscale di Draghi che però dovrà mostrarsi capace di squarciare due veli di Maya: quello di partiti troppo proni a tutelare gli interessi costituiti dei propri elettorati a breve termine; quello di esperti troppo spesso vittime del conformismo intellettuale, dunque incapaci di pensare soluzioni alternative a quelle del passato, e di una idea di Stato pedagogica e dirigista. In definitiva, servirà la politica, con il coraggio ed i rischi che essa richiede, e non la mera amministrazione.

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Lorenzo Castellani