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La direzione del Pd: un rito stanco governato Renzi

Il Partito democratico chiude al dialogo con il Movimento 5 stelle. Alla fine è prevalsa la linea dei renziani subìta da Martina. E ancora una volta si è rinunciato a un vero dibattito e all'analisi della sconfitta del 4 marzo

Tanto rumore per nulla. Al solito, un'altra direzione Pd che preannunciava fulmini e saette si è svolta in maniera soporifera.

Eppure, dopo la sfuriata di Maurizio Martina suscitata dall'intervista di Matteo Renzi Che Tempo che fa?, dove ha dettato la linea  del “no a un dialogo con i 5 stelle” anticipando la direzione, giovedì era lecito aspettarsi una levata di scudi dalla minoranza e persino dallo stesso reggente.
Un moto di orgoglio e dignità che non c'è stato, anche se nei giorni scorsi proprio questo slancio ha tenuto banco sui social network.

In casa Pd è tornato a splendere il sole. Altro che conta. Il segretario reggente ha velocemente archiviato l'ipotesi di un dialogo con i grillini ipotizzata solo pochi giorni fa, barattandola con la fiducia fino all'assemblea che avvierà la fase congressuale.

Il documento dei renziani

Si tratta di poche settimane che congelano di nuovo la situazione politica italiana e danno al Pd l'illusione di avere una guida solida e unitaria. Il punto è che Renzi si è presentato in direzione con un documento firmato da circa 120 esponenti da tirare fuori nel caso in cui le cose si fossero messe male.
Un pieno segno di sfiducia verso il reggente Martina che nonostante i discorsi, appare sempre più una comparsa in uno spettacolo recitato da altri.

L'intervista rilasciata da Matteo Renzi sostanzialmente ha cambiato il programma di questa direzione che nelle intenzioni era stata convocata per valutare un possibile via libera al confronto con i Cinque Stelle.

“Penso sia giusto che l'eventuale esito finale di questo lavoro venga valutato anche dalla nostra base nei territori con una consultazione" era solo il 29 aprile e i piani del Pd, nella voce di Martina erano questi.

La base tradita

Poi qualcosa è improvvisamente cambiato e ascoltare la base è diventato un altro passaggio inutile di questa fase del partito. Hanno prevalso gli orientamenti dei renziani che se comandano dentro al Nazareno, fuori oramai contano su numeri sparuti.

Il dimezzamento dei consensi dal 40 al 18 per cento ne sono il segno evidente. Eppure Martina aveva intuito nelle sue dichiarazioni la necessità vitale di tornare a discutere con la base delle decisioni importanti. Ri-prendere l'abitudine della consultazione con i propri elettori non solo quando c'è da votare qualcuno, ma anche sulle grandi questioni è un passaggio obbligato per un partito che nasce dai circoli e ha l'esigenza di rifondarsi.

Non ci resta che Mattarella

Gli iscritti del Pd sono stati traditi ancora una volta in favore di altre logiche più di palazzo, mentre il Quirinale si organizza da se con un calendario di consultazioni dei partiti che entro la prossima settimana saranno chiamati ad assumersi pubblicamente le proprie responsabilità.

Intanto, anche questa Direzione si chiuderà con un nulla di fatto. Le battaglie del Pd da tempo si consumano a suon di tweet, interviste, comunicati stampa. Dardi lanciati all'opinione pubblica che finora hanno prodotto solo conte interne e nessuna linea ufficiale valida più di 24 ore. C'è chi con una mano promette fiducia piena al segretario reggente e ne loda il lavoro svolto in questa delicata fase politica, mentre con l'altra conta le firme raccolte per mandarlo a casa al primo passo falso.

Per un governo non ci resta che Mattarella, per il Pd invece non c'è nulla da fare. 

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Sara Dellabella