Green ambiente
(Ansa)
Politica

L'Europa fa retromarcia sulle politiche green

Germania, Francia, Svezia poco alla volta stanno cambiando idea o allungando il tempo della transizione ecologica. Meglio tardi che mai

Con l'avvicinarsi delle elezioni europee diviene sempre più evidente l'irrealizzabilità della transizione energetica ultra rapida imposta da questa Commissione europea. Dovremmo però innanzi tutto ammettere che abbiamo votato male alle ultime euro-elezioni, lasciando l'Europa in mano a esaltati con la possibilità di imporre norme nel nome dell'ambientalismo punitivo, spesso scatenando una vera catechesi dei sensi di colpa con la complicità dell'Onu, ma anche di aver favorito l'esaltazione del nulla scientifico alla Greta Thumberg, un movimento, quello di Friday for future, promosso dai governi fino a paragonarlo a un nuovo Sessantotto fatto in nome dell'ecologia.

Imbavagliati, quando non annichiliti a insulti, quanti facevano appello alle leggi e alle unità di misura della fisica, puntualmente messe sotto il tappeto dell'ideologia politica verde, ecco ormai in vista la resa dei conti: non è possibile realizzare quanto programmato nei tempi sognati dalla maggioranza Ursula e dal suo ispiratore Frans Timmermans. Fine dei sogni.

Eppure i segnali che la strada fosse quella sbagliata erano stati mostrati da tempo e oggi si stanno puntualmente affacciando uno dopo l'altro: la filiera e il mercato dell'automotive sono sconvolti e sull'orlo della distruzione, con la Germania che per prima ha gettato la spugna riducendo la produzione di auto elettriche che nessuno vuole perché, diciamo una volta per tutte, a parte strapagarle, pochissimi riescono a usarle e nessuno può risparmiare rispetto a quando si produceva la vera vittima dietro la quale Berlino è riuscita a nascondersi, ovvero il diesel. Già, perché la memoria digitale non perdona e ricorda che tutto cominciò quando il “Volkswagen gate” fu rinominato da Frau Merkel “Diesel gate” e fatto pagare a tutti i Paesi membri.

A Parigi, nel maggio scorso, durante un discorso su come rilanciare l’industria francese, il presidente Emmanuel Macron era arrivato a chiedere “una pausa normativa europea” sostenendo: “Abbiamo già approvato molte normative ambientali a livello europeo, più di Usa e Cina”, ora dovremmo implementarle e provarle, non apportare nuove modifiche alle regole, altrimenti perderemo le nostre industrie”.

Così questa Commissione sta cominciando a fare i conti con la realtà perché, oltre alla fisica, ha ignorato anche la geografia, ottenendo tre risultati negativi enormi: gestire in modo vendicativo la Brexit, dimenticando che l'Inghilterra, dove si fabbricano anche automobili, è ancora dove si trova, soltanto a 34 km dalla Ue; sovra finanziare l'Ucraina dimenticandosi che anche Mosca è sempre a soli 750 km da Vilnius, Lituania, nella Ue (e per l'export era una manna), e appunto mirare a “livellare” verso il basso i cittadini europei usando la leva dell'emergenza climatica a tutto campo, dai satelliti fatti apposta per rilevare le temperature (pagati da tutti noi), fino all'attacco malcelato alle case di proprietà con la scusa dell'efficientamento (parola orribile) energetico, con un salasso da mille euro al metro quadrato che si sta cercando di evitare. Sarà che da qualche mese i dubbi sul “green” cominciano ad aumentare: la settimana scorsa il premier inglese Sunak ha annunciato lo slittamento dal 2030 al 2035 dello stop alla vendita di vetture con motore termico, e tutto fa presagire che non sarà l'ultimo rinvio, anche se per non turbare investitori e mercato il premier si è detto convinto che l'impegno del 2050 sarà comunque rispettato. Facile dirlo ora perché le elezioni saranno nel 2025 e, anche vincessero i conservatori, il suo mandato scadrà nel novembre 2027. Ma se nel settore auto è comprensibile difendere la sua realtà nazionale con la presenza di stabilimenti di case estere, di certo il via libera alle nuove licenze per l'esplorazione lo sfruttamento di gas e petrolio nel mare del Nord, seppure giustificato con l'indipendenza energetica da Putin, suona come la pietra tombale dell'urgenza green. Lo segue a ruota la Svezia, che ha circa gli stessi abitanti della Lombardia ma in un territorio oltre una volta e mezza dell'Italia, non ha i problemi della Pianura Padana ma ha già ammesso di non riuscire a raggiungere il risultato di decarbonizzazione entro il 2045, pena un costo dei carburanti insostenibile. Infine occhio agli investimenti, poiché con l'attuale grande incertezza normativa anche la Finanza green sta segnando il passo e i rendimenti attuali non sono esattamente quelli promessi. Già nel 2019 gli analisti finanziari – che fisica e geografia evidentemente la conoscono meglio - avevano giudicato la finanza creativa al servizio del Green New Deal firmato Von der Leyen qualcosa di “molto complesso” da attuare. Venne introdotto il Network per il Greening del sistema finanziario” (Ngfs) convolgendo 40 banche centrali, agenzie di supervisione e istituzioni finanziarie internazionali per creare “una risposta coordinata ai rischi climatici ed ambientali”. Tradotto: raccogliere soldi (nostri) per fare investimenti nelle tecnologie verdi in tutti i settori dell’economia con attenzione a ridurre gli effetti negativi sui livelli di occupazione, già presentati come inevitabili. Ma non soltanto: se in tutti gli investimenti finanziari gli elementi da considerare erano sempre tre (liquidità, rischio e rendimento ovvero la solvibilità del debito), a questi parametri Ursula aveva aggiunto la sostenibilità ambientale come quarto obiettivo, dando il via ai “green bonds” che anche l'Italia ha emesso nel settembre 2022 (rende il 4,74% al 2035), ovvero obbligazioni a reddito fisso i cui proventi pagano progetti vecchi e nuovi per ridurre l'inquinamento, con tanto di “Codice verde” per garantirne l'ecologia, ma non la riuscita. E più fondi green sono apparsi sui mercati, più i rendimenti si sono allineati e i progetti da finanziare ridotti in dimensioni e numeri. E siccome le risorse naturali necessarie per attuare i piani non ci appartengono, coniugare la sostenibilità ambientale con il margine sugli investimenti pare essere una chimera. Ora la verità sta emergendo e, con l'ammissione di non riuscire a rispettare i tempi, c'è chi comincia ad avere paura. Senza contare che la prossima Commissione europea rischia di dover affrontare gli effetti di una tempesta annunciata.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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