Penati
(Ansa)
Politica

La Cassazione sanziona la Provincia di Penati. Albertini: «Riaffiora il caso Serravalle-Unipol»

Gli assessori della giunta di sinistra del 2005 strapagarono il 15% della società autostradale. Ora dovranno pagare 44,5 milioni di danni erariali. Aveva ragione l’ex sindaco di Milano, che denunciò lo scandalo

Non è mai vera giustizia quella che arriva a 16 anni dai fatti sui quali si è giudicato. È così anche per il procedimento contabile che ora ha finalmente e definitivamente chiuso l’infinita controversia sulla compravendita della società Serravalle, che controlla l’autostrada Milano-Genova e parte delle tangenziali milanesi. Non soltanto perché il principale accusato, l’allora presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, è scomparso nell’ottobre 2019. Ma anche perché la vicenda, che all’epoca aveva acceso violente battaglie politiche, ormai è finita nel dimenticatoio. Tant’è che pochi giornali hanno raccontato come sia andata a finire.

La storia risale al luglio 2005, quando la giunta della Provincia di Milano, in quel momento retta dal centrosinistra e presieduta da Penati, già sindaco di Sesto San Giovanni nonché esponente di spicco del Partito democratico (nel 2009 sarebbe poi divenuto il capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani e nel 2010 il candidato della sinistra alla presidenza della Regione Lombardia), decise a sorpresa di acquistare il 15% delle azioni della società Serravalle. Il venditore, il gruppo delle costruzioni e delle autostrade posseduto da Marcellino Gavio, vendette a un prezzo di quasi 8,9 euro quelle azioni, che soltanto 18 mesi prima aveva pagato appena 2,9 euro: Gavio incassò così 238,5 milioni di euro, con una plusvalenza di 176.

A segnalare che l’operazione fosse «anomala» fu l’allora sindaco di Milano, Gabriele Albertini, alla guida di un’amministrazione di centrodestra. A Penati, Albertini obiettò pubblicamente che già prima dell’acquisto la Provincia deteneva il 37,9% del capitale della Serravalle, e soprattutto che un patto di sindacato con il Comune - a sua volta azionista della Serravalle con il 18,6%- - garantiva in pieno il controllo pubblico sulla società: perché mai, chiedeva Albertini, si erano acquistate così a caro prezzo, le azioni di una società di cui i due enti locali già possedevano la maggioranza?

Sospettando gravi irregolarità, Albertini decise di agire su tre piani diversi. Il sindaco avviò una causa civile contro la Provincia per la rottura del patto di sindacato con il Comune. Poi denunciò la vicenda anche alla Corte dei Conti, accusando la Provincia di Penati di «ingente danno erariale». E infine presentò un esposto anche in sede penale. Albertini ipotizzò che l’acquisto a prezzi «gonfiati» della Serravalle avesse avuto lo scopo di convincere il re delle autostrade Gavio a schierarsi a fianco dell’Unipol (la compagnia d’assicurazioni da sempre legata al Pci-Pds), nella scalata per conquistare la Banca nazionale del lavoro. Ancora oggi Albertini resta convinto di quell’ipotesi.

Nel passato di Gavio, tra l’altro, c’era un elemento giudiziario in qualche modo suggestivo: nel settembre 1993, nel cuore dell’inchiesta milanese Mani Pulite, un manager del gruppo aveva ammesso di aver partecipato al finanziamento illecito del Pci-Pds versando 400 milioni di lire al tesoriere occulto del partito, il mitico Primo Greganti. Lo stesso Gavio, interrogato da Antonio Di Pietro, aveva poi confermato quei rapporti indebiti con il principale partito della sinistra dell’epoca, spiegando di «non volerlo avere contro negli sviluppi degli appalti nelle opere pubbliche».

La denuncia penale di Albertini sulla Serravalle venne affidata all’allora sostituto procuratore di Milano, Alfredo Robledo. Ma l’inchiesta che ne derivò finì in prescrizione, sia pure tra le vibranti proteste di Albertini, che poi accusò Robledo di essersi limitato praticamente a un solo atto istruttorio in sette anni: una perizia tecnica nella quale, peraltro, si segnalava «la sicura e palese incongruenza ed eccessività del prezzo unitario delle azioni Serravalle pagato con la compravendita del 29 luglio 2005».

Le proteste di Albertini causarono un contrasto insanabile con il magistrato, con complesse vicende giudiziarie che coinvolsero il Senato, il Consiglio superiore della magistratura e perfino la Corte costituzionale. All’ex sindaco andò molto meglio in sede civile, dove grazie alla causa intentata da Albertini il Comune di Milano ottenne che la Provincia venisse condannata a pagare 400.000 euro di risarcimento. Restava il giudizio in campo contabile. Che si è concluso a fine dicembre, finalmente, e dove la Cassazione ha dato definitivamente ragione ad Albertini, con una sentenza che conferma una condanna d’appello del 2015 e stabilisce una volta per tutte che il prezzo pagato dalla Provincia per la Serravalle in effetti fu troppo elevato. Nell’ex sindaco resta comunque un forte senso d’amarezza: «In quell’operazione c’è stato qualcosa di occulto», dice Albertini a Panorama.it, «ma grazie alle mancate indagini purtroppo non sapremo mai che cosa».

La Cassazione ha stabilito un risarcimento monstre di 44,5 milioni di euro per danno erariale agli uomini della giunta provinciale milanese che 16 anni fa votarono l’acquisto, e la cifra dovrà essere versata alla Regione Lombardia, attuale proprietaria della società Serravalle. La cifra è davvero notevole. Nel dettaglio, poco meno di 20 milioni sono a carico di Filippo Penati, che però è morto il 9 ottobre 2019; altri 15 milioni circa sono a carico dell’allora segretario generale, Antonino Princiotta; circa 5 milioni dovrebbero versare, a testa, i due funzionari della Provincia Giordano Vimercati e Giancarlo Saporito; gli ultimi circa 5 milioni sono a carico degli otto assessori della giunta provinciale del 2005, e cioè Giansandro Barzaghi, Irma Dioli, Daniela Gasparini, Alberto Grancini, Alberto Mattioli, Pietro Mezzi, Pietro Luigi Ponti e Rosaria Rotondi.

Ed è vero che dai fatti ormai sono passati 16 anni, e che da questo punto di vista la sentenza è più che tardiva. Ma forse non è soltanto per questo che, se cercherete notizia di questa condanna suoi giornali (soprattutto su quelli di sinistra), non riuscirete a trovarne traccia.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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