Gabriele Albertini contro il pm Alfredo Robledo
Ansa/Daniel Dal Zennaro-Matteo Razzi
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Gabriele Albertini contro il pm Alfredo Robledo

L’atto d’accusa dell’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini contro il procuratore aggiunto Alfredo Robledo

È l’ultimo atto di una diatriba che ormai da anni va avanti fra citazioni e memorie difensive, in un triangolo tra Milano, Bruxelles e Roma. Da una parte c’è Gabriele Albertini, oggi senatore di Scelta civica, già europarlamentare del Pdl e sindaco di Milano. Dall’altro c’è Alfredo Robledo, procuratore aggiunto. Un esposto dettagliato è già arrivato sul tavolo del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri: a spedirlo è stato Albertini, che ha voluto elencare una serie di comportamenti di Robledo, chiedendo al Guardasigilli di accertare se «siano censurabili disciplinarmente sotto il profilo della deontologia professionale». Un altro, ancora più ponderoso, è stato recapitato oggi, venerdì 5 luglio, al Consiglio superiore della magistratura. La battaglia, insomma, pare arrivata all’ultimo atto.

Tre sono i momenti nei quali l’attività politica dell’ex sindaco e il lavoro d’inchiesta del magistrato si sono incontrati, e tutti e tre entrano nel mirino delle critiche di Albertini.

- Il primo: l’inchiesta condotta da Robledo nel 2003 sulla questione degli «emendamenti in bianco», che sarebbero stati illecitamente predisposti dalla maggioranza di centrodestra al Comune di Milano.

- Il secondo: l'acquisto della società Autostrada Serravalle da parte della Provincia di Filippo Penati, nel 2005 finito nelle indagini di Robledo proprio grazie a un esposto di Albertini.

- Il terzo: l’inchiesta milanese (nel 2011 sempre affidata a Robledo) sui contratti derivati sottoscritti dal Comune ai tempi dell’amministrazione Albertini. Si tratta di tre episodi distinti, apparentemente slegati fra di loro. Ma il senatore pare avere qualche motivo per dolersene come di un unico trattamento, particolarmente negativo.

Nell’inchiesta che lo vide indagato nel 2003 da Robledo nell’ipotesi (poi rivelatasi insussistente fino in Cassazione, sette anni più tardi) che la maggioranza di centrodestra in consiglio comunale avesse illecitamente predisposto una serie di emendamenti in bianco al solo scopo di bloccare il filibustering dell’opposizione, Albertini critica alcuni comportamenti di Robledo e nell’esposto sottolinea il trattatamento riservato a Giovanni Penco, all’epoca direttore centrale e ragionere capo del Comune, nonché teste dell’accusa.

Penso fu interrogato il 21 marzo 2003, prima da Robledo insieme alla collega Tiziana Siciliano, dalle ore 16 alle 19,30. Quindi fu disposta una perquisizione nel suo ufficio: iniziò alle 21,55 e durò oltre 2 ore. Infine, 20 minuti dopo la mezzanotte di quello stesso giorno, Penco fu nuovamente interrogato in tribunale dal solo Robledo per quasi due ore. Va detto che per le critiche di Albertini, già espresse in due interviste nell’autunno 2011, l’ex sindaco è stato citato in giudizio in sede civile da Robledo, che ha ottenuto dal Parlamento europeo l’autorizzazione a procedere malgrado l’immunità parlamentare. Il Parlamento europeo non è entrato nel merito della questione: ha solo revocato l’immunità ad Albertini, in quanto le sue dichiarazioni erano state rese in qualità di ex sindaco e non nell’esercizio delle sue funzioni di parlamentare europeo.

Il secondo punto dell’esposto riguarda un’altra inchiesta di Robledo, quella sull'acquisto, avvenuto il 29 luglio 2005, del 15% di Marcellino Gavio della società Autostrada Serravalle da parte della Provincia di Milano, all’epoca presieduta da Filippo Penati (Pd). L’operazione avvenne a un prezzo di 238,5 milioni di euro, che oggi è evidente fosse disastrosamente fuori mercato: sulla questione ha poi indagato la Procura di Monza, sospettando che Gavio fosse stato favorito da Penati al solo scopo di coinvolgerlo nell’estate 2005 nella scalata della Bnl al fianco della Unipol. E la stessa Corte dei conti ha recentemente messo in mora la giunta provinciale dell’epoca, ipotizzando un danno erariale di oltre 76 milioni.

In quello stesso scorcio del 2005 Albertini, in qualità di sindaco, aveva immediatamente denunciato il fatto alla Procura, cercando di bloccare l’operazione Serravalle. Robledo aveva affidato una consulenza tecnica a due docenti universitari: Mario Cattaneo e Gabriele Villa, che avevano dato le loro risposte in un documento depositato nel dicembre 2006. Alla luce di quella perizia, la Procura non aveva ritenuto di individuare la sussistenza di illeciti.  

Il problema, segnala adesso Albertini, è che la Corte dei conti, analizzando in tempi recenti tutta la questione e anche la perizia Cattaneo-Villa (vedere il documento integrale), è arrivata alla conclusione che i due tecnici non avessero affatto garantito la congruità dei circa 8,8 euro ad azione pagati dalla Provincia. I giudici contabili sottolineano infatti che i due professionisti incaricati dalla Procura avevano dato possibili due letture dell’operazione: in quella per loro prevalente avevano comunque concluso «per la sicura e palese incongruenza ed eccessività del prezzo unitario delle azioni Serravalle pagato con la compravendita del 29 luglio 2005».

Nell’altra lettura, residuale e definita «atomistica», cioè nell’astratta ipotesi di una proprietà privatistica della società, i periti Cattaneo e Villa avevano effettivamente espresso una valutazione di congruità del prezzo. Ma in effetti, secondo l’analisi della Corte dei conti, anche prima dell’acquisto la Provincia deteneva il 37,9% del capitale della Serravalle, e un patto di sindacato con il Comune (amministrato allora da Albertini) garantiva un controllo pubblico sulla società che rendeva «del tutto ingiustificata la maggiorazione del prezzo d’acquisto per un cosiddetto premio di controllo».

Lo stesso Albertini sottolinea che il controllo pubblico dell’autostrada Serravalle nel 2005 era pienamente garantito dal patto di sindacato tra Comune e Provincia, che «blindava» la maggioranza assoluta delle azioni: quindi il prezzo pagato dalla Provincia era obiettivamente fuori mercato. Tant’è vero che la perizia Cattaneo-Villa arrivava comunque, nel massimo delle sue valutazioni, a ipotizzare un prezzo unitario di 7,52 euro per azione (il minimo stimato era di 4,91), mentre la Provincia di Milano ne aveva pagati ben 8,831.

È vero anche che la Provincia nel 2005 si era a sua volta affidata allo studio Vitale & associati, che aveva ritenuto congruo il prezzo di vendita. Ma la stessa Corte dei conti ha rivelato qualche seria stranezza nell’operato dei periti della Provincia: dicono i giudici contabili che la Guardia di Finanza, infatti, ha «preso posizione sulla limitata validità scientifica dell’elaborato dello studio Vitale, essendosi utilizzati criteri di valorizzazione dubbi e di scarsa validità statistica».

I finanzieri hanno anche scoperto che la perizia dello studio Vitale recava la data del 29 luglio 2005, cioè lo stesso giorno in cui le azioni di Gavio erano state acquistate, ma sosterrebero che la data era falsa: la perizia Vitale era stata retrodatata, scrive la Corte dei conti, al solo scopo «di farne un precostituito strumento esimente» per la Provincia. Anche da questo elemento, scrivono i giudici, derivava «la non attendibilità del parere, che rappresenta l’unico atto che avrebbe potuto giustificare, all’epoca, ovvero lo stesso giorno della compravendita azionaria (!) l’ammontare del prezzo delle azioni Serravalle in concreto corrisposto».

Insomma: la «falsità della data» della perizia chiesta allo studo Vitale da Filippo Penati, nei risultati considerata congrua anche dalla Procura di Milano, secondo i giudici contabili aveva l’unico scopo di «conseguire un esonero della responsabilità» da parte della Provincia.

Ma le accuse di Albertini non finiscono qui. Quando gli avvocati del Comune avevano appreso da Robledo che secondo la sua valutazione la perizia Cattaneo-Villa faceva propendere la Procura per l’insussistenza di reati e quindi per una richiesta di archiviazione al giudice delle indagini preliminari, avevano affermato che si sarebbero opposti.

Al contrario, scrive Albertini «niente è mai stato fatto dal dottor Robledo, ben sapendo che una richiesta di archiviazione per insussistenza del reato avrebbe comportato le rimostranze del Comune, allora ancora retto dalla nostra stessa maggioranza. Non gli restava, pertanto, che lasciare nell'oblio il fascicolo al fine di poterne, un giorno, chiedere l'archiviazione, non opponibile, per l'intervenuta prescrizione dell'ipotesi di reato».

L’accusa è molto pesante. «Lasciare in stand by i fascicoli quando coinvolgono una determinata area politica» scrive Albertini nell’esposto «appare quasi un vizio del dottor Robledo. E aggiunge: «Purtroppo (per Robledo, ndr) non si è potuto giungere alla richiesta di archiviazione per prescrizione solo perché la Procura di Monza per altri fatti, ha indagato su Penati scoperchiando anche il polverone Serravalle e ha ipotizzato anche fatti di corruzione per un ritorno a Penati (o al suo partito) di parte dei soldi che Gavio aveva ricevuto per l'illegale plusvalenza delle azioni Serravalle». Conclusione, durissima: «Mi chiedo se avere volutamente cercato di far decorrere i termini di prescrizione (...) non sia indice di una voluta omissione di atti d'ufficio o, quanto meno, di una negligenza del magistrato».

Il terzo elemento dello scontro Albertini-Robledo riguarda infine l’inchiesta sui derivati comunali, condotta dal magistrato nell’ipotesi che lo strumento finanziario, sottoscritto dalla giunta Albertini nel 2005, avesse arrecato un grave danno economico all’amministrazione. Robledo procedette per truffa aggravata, e in questo caso Albertini fu sentito dal pm come teste nel novembre 2011. Gli venne contestato il fatto che non esisteva alcuna documentazione economica sull'emissione del maxibond coperto dai derivati. Scrive Albertini nell'esposto: «Una simile affermazione di Robledo, ossia che si sia potuto effettuare una delibera senza il calcolo di convenienza economica, appare veramente stupefacente, atteso che tutte le delibere (del maggio e del giugno 2005, ndr) fanno espresso riferimento proprio alla valutazione di convenienza economica. Ora, se fosse stato vero quanto affermato da Robledo, non si capisce perché non abbia ritenuto sussistere l'ipotesi di reato anche a carico di tutti i componenti degli uffici comunali che hanno redatto i testi delle delibere e degli assessori e consiglieri comunali che le hanno poi votate».

Conclude con durezza l’ex sindaco: «Il fatto che la documentazione sulla valutazione economica non sia stata rinvenuta da Robledo può essere esclusivamente derivato o dal fatto che egli non l'abbia ben cercata, o dal fatto che sia stata fatta dolosamente sparire nel corso dell'istruttoria ad esclusivo conforto della tesi accusatoria».

A questo punto, si vedrà che cosa farà il ministero della Giustizia: se archivierà l’esposto di Albertini, oppure avvierà un’ispezione, o ancora se lo trasmetterà alla Procura generale della Cassazione, depositaria dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. In ogni caso se ne dovrà occupare anche il Consiglio superiore della magistratura, perché Albertini proprio oggi ha fatto recapitare un esposto anche a Michele Vietti, il suo vicepresidente.  

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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