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Panama Papers, e se fosse un affare tutto americano?

Potrebbe anche essere fumo negli occhi per nascondere una macchinazione per boicottare uno dei candidati alla Casa Bianca. Clinton e Trump sono avvisati

Gli inglesi lo chiamano "Snowball effect", effetto palla di neve, ovvero un evento che inizia come irrilevante e poi si fa sempre più grande, fino a divenire pericoloso o addirittura disastroso. È quello che potrebbe accadere con i cosiddetti Panama papers, ovvero lo scandalo emerso da una fuga di notizie riservate in possesso dello studio legale panamense Mossack-Fonseca, che ha scoperchiato il tappo su un’evasione fiscale di massa, che vede coinvolti a livello mondiale leader politici, uomini d’affari, società e banche, accusati di aver utilizzato la copertura garantita dallo studio legale per nascondere i soldi alle amministrazioni fiscali nazionali.

Il caso, oggetto di un’inchiesta realizzata da oltre 100 tra organizzazioni e testate giornalistiche di 80 Paesi diversi, al momento è molto evanescente e si spande in troppe direzioni per costituire un singolo caso montato ad arte al fine di danneggiare una persona, un gruppo d’interessi o un intero paese.

Tuttavia questo scandalo, che ha colpito duro tra gli altri il premier britannico Cameron, quello islandese Sigmundur Gunnlaugsson (dimessosi in seguito a un suo coinvolgimento diretto) e alti papaveri delle istituzioni cinesi, potrebbe essere un camouflage per nascondere un obiettivo singolo. Ma quale? O meglio, chi?

È la Russia di Putin il vero obiettivo?

Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa, un sospetto lo ha già. In proposito, infatti, ha recentemente affermato: “Sappiamo chi c’è dietro, esponenti e organi ufficiali degli USA desiderosi di minare la nostra unità, che li disturba più dei nostri successi in Siria e della resistenza della nostra economia”.

Per avvalorare la sua tesi, il Cremlino sostiene che sia quantomeno singolare che in questa messe di nomi - sono in totale 11,5 i milioni di documenti condivisi, 214mila soggetti coinvolti tra società off shore e fondazioni, e oltre 14mila singoli clienti - non compaia quello di alcun cittadino statunitense.

Anche se non è esattamente così (ad oggi sono almeno 200 i passaporti di cittadini americani che compaiono nei leak), la tesi è suggestiva e può essere inquadrata nel perenne braccio di ferro USA-Russia che accompagna la storia politica di questi due Paesi. Il perdurare dei progetti USA per circondare militarmente la Russia in Europa o i recenti contatti tra Washington e il ministro della Difesa della Bielorussia alleata di Mosca, ad esempio, sono argomenti che portano acqua al mulino dei complottisti oltrecortina.

Persino Wikileaks, l’organizzazione antesignana delle “gole profonde”, ha accusato a sua volta gli Stati Uniti e il miliardario americano d’origine ungherese George Soros di essere il vero manovratore dei Panama Papers, che sarebbero diretti proprio contro il presidente russo Vladimir Putin. Secondo il fondatore Julian Assange, il caso sarebbe ordito da USAID, l’agenzia governativa americana per lo sviluppo economico, che avrebbe girato le carte compromettenti al consorzio giornalistico OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project), al fine di montare lo scandalo.

I Panama Papers e le primarie Usa


Ma tutto ciò potrebbe anche essere soltanto fumo negli occhi. Che succederebbe, infatti, se uno di questi giorni tra quei nomi uscisse anche quello di uno dei candidati alla presidenza Usa? Le elezioni presidenziali americane non sono mai state tanto indecise e rissose, all’interno dei due schieramenti democratici e repubblicani, come nelle primarie del 2016. Nessuno, o quasi, spicca ancora in maniera netta sugli altri. Questo rischia di produrre un’impasse non da poco alle convention dei due partiti che dovranno stabilire i rispettivi candidati ufficiali per il voto finale di novembre.

Facciamo un esempio per entrambi. Tra i democratici la sfida si gioca ormai solo tra Bernie Sanders, che di certo non ha questo tipo di scheletri nell’armadio, e l’ex Segretario di Stato americano, Hillary Clinton. La Clinton è colei che per prima ha sostenuto l’accordo commerciale con Panama e Bernie Sanders ha ora gioco facile nel sostenere che è lei ad aver di fatto permesso a politici, imprenditori, personaggi famosi anche statunitensi di evadere il fisco. Un fatto storicamente assai sgradito al popolo americano, che in seguito a ciò potrebbe anche decidere di scaricare l’unica candidata donna.

A compromettere ancor più seriamente la corsa della Clinton alla Casa Bianca, potrebbe essere l’eventuale comparsa del suo nome o quello di società a lei collegate o ancora di finanziatori della sua campagna tra i file fuoriusciti da Panama. Come appunto quel George Soros, citato guardacaso da Wikileaks, che ha donato 8 milioni di dollari al comitato elettorale di Hillary.

Un complotto contro Donald Trump?


Ancora peggio potrebbe andare in campo repubblicano, dove Donald Trump contende a Ted Cruz la nomination. Trump è una figura trasversale agli schieramenti canonici e invisa all’interno dello stesso Grand Old Party, che da tempo lavora per boicottarlo. Una parte consistente del partito avrebbe preferito non vederlo affatto candidato. E adesso che è persino in vantaggio, sarà difficile fermarlo. Solo se il magnate non otterrà i 1.237 voti necessari ad farne la prima scelta del partito alla convention di luglio, la sua corsa alla presidenziali potrebbe essere fermata. E siccome quella quota per lui non è facile da raggiungere ma è ancora possibile, perché non tentare di danneggiarlo in tempo utile?

Se il nome di Trump o quello di una delle società a lui collegate dovesse spuntare tra i Panama papers - il che per un imprenditore del suo calibro non è da esculdere a priori - è certo che questo fatto costituirebbe un colpo mortale alle sue chance di correre per la presidenza.

Tutto questo accade proprio a ridosso del voto per le primarie nello Stato di New York, città natale di Trump, dove il magnate ha costruito gran parte della sua fortuna. Qui sono in ballo ben 95 delegati: dopo la California, che assegna 172 voti ai candidati, questo è l’appuntamento anche simbolicamente più importante per arrivare alla convention di luglio con il più alto pacchetto di delegati in tasca.

Sappiamo già quale sarebbe la risposta di Donald Trump alle accuse “io con i miei soldi faccio quel che mi pare e li metto dove voglio”. Ma, nonostante ciò, se dovesse spuntare anche lui o un membro della sua famiglia tra quelle carte, il partito repubblicano lo archivierebbe forse per sempre.

Lo Snowball effect è ancora in corso ed è presto per fare ipotesi, per quanto suggestive. Ma se dovessero rivelarsi vere, allora sapremo che tutto è partito e destinato agli Stati Uniti e che gli altri, per il momento, possono “stare sereni”.

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Luciano Tirinnanzi