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(Ansa)
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«Fleximan», l'uomo che abbatte gli autovelox, non è un'eroe ma il simbolo di un malessere comprensibile

Danneggiare è sempre sbagliato ma forse è ora per le autorità di ragionare sui concetti con cui si gestisce la mobilità su auto

Se c’è una cosa che noi italiani dimostriamo di avere sempre in abbondanza è l’ipocrisia. La vicenda di Fleximan, colui – o coloro – che segano i pali degli autovelox, lo dimostra. Educazione e senso civico insegnano che considerare eroe chi danneggia la proprietà pubblica è sbagliato, ma prima che il suo flessibile entrasse in azione quanto si è esagerato confondendo la legalità con la giustizia?

Mettiamo per un attimo su “spento” l’interruttore dell’ipocrisia e ricordiamoci che gli automobilisti italiani sono tra i più vessati al mondo: tasse di possesso, costi di assicurazione tra i più alti, limitazioni continue della circolazione con regole cavillose (si pensi all’Area B di Milano, che oggi prevede la notifica anticipata per fruire delle giornate di suo libero), limiti di velocità messi anche dove non servono, semafori regolati apposta con il giallo che dura pochi secondi per aumentare le infrazioni, macchine fotografiche che considerano in multa anche chi si ferma al rosso ma pochi centimetri dopo la linea di stop. E poi la guerra urbana alle auto, fintamente nascosta nelle preoccupazioni per l’inquinamento, favorita da norme europee che non fanno certo i nostri interessi e in realtà usate per lo scopo finale, quello di rendere la circolazione automobilistica tanto difficile da far rinunciare all’auto, con buona pace della libertà, dell’industria e dell’indotto.

Non so se ci avete pensato, ma con la città a 30 km all’ora, se un idraulico prima poteva fare quattro interventi al giorno, oggi ne fa due, e addio anche al suo fatturato e anche alle tasse – poche o tante che fossero – che pagava come contribuente. Anche l’autista dell’autobus deve rallentare, e se prima bastava mezz'ora per andare al lavoro ora ci vorrà quasi il doppio. E che dire dei marciapiedi larghi sei metri, con il restringimento delle corsie per le vetture, dove però oggi un tram e un’ambulanza insieme non passano più. E se il tempo per arrivare in ospedale si allunga, qualcuno muore. Ammettiamolo, ce n’è abbastanza per creare la perfetta foresta di Sherwood per la nascita dei Robin Hood nostrani con tanto di ammiratori e complici.

Uno Stato che si definisca tale dovrebbe garantire la libera circolazione in tutto il territorio nazionale nelle stesse modalità, fissando diritti e doveri, senza permettere ai sindaci di farla fuori dal vaso, di considerare referendum le consultazioni fatte sui social dove votano soltanto quelli che le restrizioni le propongono. Con tutto il rispetto, ma può essere Legambiente a decidere se nonostante le norme costruttive, la revisione, il bollo, l’assicurazione e le altre mille assurde regolette che l’automobilista deve rispettare, egli possa o meno circolare nella sua città? Ecco, Fleximan nasce dalla dittatura delle minoranze, dall’uso strumentale di dati – troppi e troppo distorti – usati per cercare una rivoluzione che in realtà è semplicemente è autodistruzione. Con anche la distorsione della realtà: un autovelox non è per nulla educativo, è semmai punitivo, e un antico adagio recita che nel momento in cui sei costretto a punire, hai già perso. Esattamente come punitivi sono limiti di velocità cambiati in continuazione su strade per le quali il codice stabilisce in realtà limiti precisi: 90 km/h fuori dai centri abitati e 50 km/h dentro. I 30 km/h sono quasi la metà, e a poco valgono gli studi sulla presunta riduzione delle conseguenze in caso di incidente, perché allora si potrebbe dire l’ovvio, che senza automobili, camion e moto, sarebbero zero. Eppure, nessuno ricorda, ipocriti che siamo, che i pedoni in mezzo alla strada non ci dovrebbero essere, che i monopattini dovrebbero andare a 20 km/h e che le bici in contromano sono pericolose. Ma se l’educazione stradale a scuola è difficile farla, se non si insegna che in bicicletta non si deve mai affiancare una betoniera, che se vai in bici non devi indossare le cuffie collegate allo smartphone, a fermare le tragedie non basteranno i velox e neppure i 30 km all’ora. Il pericolo? Che i prossimi autovelox possano riconoscere le cuffiette indossate dai ciclisti, e attraverso i social dar loro un’identità recapitando la multa. La tecnologia lo può fare già oggi, ma cari benpensanti delle città green, siete sicuri di sopportarlo, oppure verrete anche voi – a piedi - nella foresta di Sherwood?

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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