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Dalla parte della Egonu e contro il razzismo. Sempre

Gli italiani non sono un popolo razzista, ma lo sfogo della fuoriclasse della pallavolo non può essere liquidato come lo sclero di un'atleta stanca e incapace di reggere le pressioni

E’ possibile che l’auto esilio di Paola Egonu dalla nazionale italiana di pallavolo sia destinato a durare qualche mese o anche meno, o forse nemmeno a concretizzarsi e che la parte sportiva dello sfogo della fuoriclasse azzurra, dopo la medaglia di bronzo al Mondiale, finirà per rientrare in breve tempo. Questione di campo, quella che riguarda le critiche ricevute per un terzo posto che viene giudicato deludente (!?!), e che, come tali, saranno gestite nel gruppo di Davide Mazzanti e dalla federazione, chiamata a tracciare il bilancio di una stagione straordinaria con un pizzico di amaro in bocca per la semifinale con il Brasile persa e per l’obiettivo dell’oro svanito.

Lei, le sue compagne e in generale tutti gli atleti di punta oggi giocano troppo e sono sottoposti a livelli di stress non sempre sopportabili; una pausa non è necessariamente un male, purché rientri in un percorso condiviso e sia l’occasione per resettare e ripartire.

Più complessa, invece, è la gestione dell’onda lunga del sottobosco razzista che Paola Egonu ha denunciato con quel “mi hanno chiesto perché sono italiana” smozzicato tra le lacrime davanti al suo procuratore e confidente. La nostra signora della pallavolo italiana non è la prima e non sarà purtroppo l’ultima a doversi misurare con ignoranza e pregiudizi di chi farnetica a proposito di legittimazioni a far parte di una nazionale in base al colore della pelle o alla provenienza propria e della propria famiglia. Ci sono passati in tanti e molti di loro lo hanno sofferto e denunciato pubblicamente venendo spesso non capiti a fondo. Perché, detto che qualche centinaio o migliaio di hater da social media non rappresenta la totalità di una nazione, e che l’Italia ha il problema del razzismo come le altre ma non è razzista in senso compiuto, l’errore da non commettere sarebbe quello di alzare le spalle e classificare lo sfogo di Egonu come il crollo emotivo di un’atleta sotto pressione e delusa per la sua prestazione.

Nell’ultimo week end un calciatore di colore del Brentford, Ivan Toney, è stato oggetto di abusi razzisti sui social media dopo aver realizzato la doppietta vincente contro il Brighton. Neanche gli inglesi sono razzisti, ma il suo club e la Premier League – il sistema più ricco ed evoluto d’Europa dal punto di vista sportivo – hanno messo nero su bianco nel giro di poche ore la propria posizione e netta presa di distanza da quanto accaduto. Senza chiedersi se Toney abbia esagerato o meno, semplicemente cogliendo, con un riflesso ormai consuetudine da quelle parti, il punto centrale della vicenda e cioè che, quando si è in presenza di un aggressore e di una vittima, il dibattito non può essere incentrato sulla soglia di tolleranza (alta o bassa) di quest’ultima ma sulla denuncia del primo. Dunque, Paola Egonu non ha sclerato perché il pallone che ci avrebbe messo in posizione di battere il Brasile nella semifinale lo ha sparato fuori, ma nel caso degli insulti a sfondo razziale ci ha semplicemente messo davanti a un problema che esiste.

La nostra reazione non è stato il massimo. Confondere i due piani, quello sportivo e quello sociale, significa perdere di vista il punto della questione. Utilizzare Paola Egonu per definire gli italiani razzisti o per chiederle di farsi un’alzata di spalle “tanto i cretini sui social ci saranno sempre” oppure, peggio ancora, per strumentalizzarla a fini politici è pure peggio. Bene ha fatto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, a telefonarle e a farlo sapere. Male stanno facendo i portatori di interessi diretti, dal Coni alla federazione, a non prendere ispirazione dalla Premier League uscendo dalla logica dei distinguo.

Malissimo ha fatto Giuseppe Manfredi, numero uno della FIPAV, a provare a liquidare così la questione: "Siamo tutti davvero dispiaciuti per quanto accaduto a Paola e alle offese ricevute sui social da qualche persona imbecille e ignorante. Dopo sei mesi intensi d’attività è normale che l’azzurra fosse stanca e stressata, così a fine partita ha avuto questo sfogo.
Io ci tengo a ricordare che Paola ha passato diversi anni al Club Italia, poi ha fatto tutta la trafila delle nazionali giovanili azzurre e da diverse stagioni ci sta regalando grandi gioie con l’Italia seniores. Sono certo che sia legatissima alla maglia azzurra, ce l’ha cucita addosso.
Insieme alle sue compagne, grazie ai risultati ottenuti sta dando lustro non solo alla pallavolo, ma a tutto lo sport italiano. Paola e le altre azzurre sono un patrimonio che la FIPAV difenderà e supporterà sempre. Abbiamo diversi mesi a disposizione per parlare con calma e confrontarci, lasciandole il tempo necessario per recuperare. Voglio infine sottolineare che la nostra disciplina si basa su uguaglianza e integrazione, valori da sempre difesi e promossi dalla Federazione Italiana Pallavolo”.

Paola Egonu non era stanca e stressata. Negare l’evidenza è il modo migliore per girarsi dall’altra parte e far finta che un problema non esiste.

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Giovanni Capuano