WorldPass, la rete di sportelli per sostenere l'export
Economia

WorldPass, la rete di sportelli per sostenere l'export

Il ministero dello sviluppo economico e Unioncamere aprono 105 sportelli per l'internazionalizzazione. Un aiutino per le imprese sperando che non resti solo sulla carta

Per fortuna che c’è l’export. Ma non accontentiamoci di quel che c’è. Gli ultimi dati Istat confermano che le esportazioni restano la robusta stampella dell’economia italiana: fuori dall’Unione Europea in gennaio hanno fatto registrare un +17,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. La crisi non c’è dappertutto e ci sono aree del mondo in cui il made in Italy va alla grande. Ma sono ancora troppo poche le imprese italiane proiettate sui mercati esteri e troppe, tra le piccole e medie, non hanno mai varcato i confini nazionali.

Per questo il Ministero dello Sviluppo Economico con Unioncamere ha appena aperto in tutte le 105 Camere di Commercio uno sportello per l’internazionalizzazione. Insomma, un aiutino per la crescita tentato da Corrado Passera proprio sulla soglia di uscita dal governo.

All’estero vendiamo bene prodotti intermedi e beni di consumo. La settimana milanese della moda si è conclusa con un +10% di vendite nel mondo, trainate dal Far East (con incrementi di quasi il 30%)  e dalla Cina (+36%). Ma se si guarda a tutta la produzione italiana sono significativi anche i risultati dei Paesi Arabi (Opec + 26%), Giappone (+25%) e Stati Uniti (+20%), dove il mercato, insieme con i consumi, sembra essersi decisamente ripreso. "Una nostra ricerca sul sentiment dei consumatori a livello mondiale ci dice che Made in Italy è il brand più noto dietro Coca Cola e Visa. C’è quindi una grande voglia di mangiare, vestire, abitare all’italiana", ricorda Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, convinto che questo “desiderio” globale sia "un patrimonio straordinario per tanti piccoli imprenditori che, però, devono essere accompagnati nel grande mare dell’internazionalizzazione".

E sono tanti, se si pensa che solo il 3,5% delle imprese italiane è esportatore e per di più occasionale e soltanto in 10mila hanno abituali vendite all’estero. Unioncamere ha stimato che quelle potenzialmente abili all’export sono circa 73mila e oltre 16mila sono già ben intenzionate.

Ecco, quindi, WorldPass, il progetto che ha portato all’attivazione degli sportelli di informazione per le imprese che vogliono cominciare a “navigare” nel mondo. In ogni Camera di Commercio è già attivo un unico punto di riferimento. Che cosa si può trovare si capisce visitando il sito worldpass.camcom.it :  informazioni sui mercati esteri, sulle norme e la documentazione richiesta per affrontarli, sulle opportunità di business nei diversi settori merceologici, sulle iniziative di sostegno già attivate. C’è persino il nome della persona da contattare, con tanto di mail e telefono. Le premesse sono buone, adesso bisogna vedere se e come questo Pass funzionerà. Non è la prima volta che si prova ad aiutare le pmi a fare export.

E tanti sono i progetti che si sono persi per strada. WorldPass, sulla carta, prova a fare sistema, andando a sostituire, di fatto, gli uffici dell’Istituto per il Commercio Estero, chiusi dopo la sua eutanasia (nel luglio 2011) e non più riaperti dopo la sua resurrezione in versione light (pochi mesi dopo). Il progetto infatti vede coinvolti nove soggetti (Unioncamere, due Ministeri, Sace, Simest, AssocamereEstero, Camere di Commercio Italo Estere, Mondimpresa, Ice) e aspira alla creazione di una piattaforma comune che ancora non c’è: ognuno contribuisce con la sua, in attesa che si arrivi alla piena integrazione dei sitemi nazionali e territoriali. Quella Rete Unica, che sul territorio è garantita dalle Camere di Commercio, ma non esiste a livello digitale.

Da qualche parte, però, bisognava cominciare. Gli obiettivi sono ambiziosi. "Con WorldPass contiamo di portare 20mila nuove imprese, soprattutto del Sud, sui mercati internazionali entro il 2014", dice il presidente Dardanello, evidentemente molto fiducioso sul potere dell’informazione. E sulle scelte del governo che verrà, che dovrà resistere alla tentazione dell’ennesimo rimescolamento di enti, uomini e progetti.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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