Stipendi e il tetto in Svizzera. E in Italia?
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Economia

Stipendi e il tetto in Svizzera. E in Italia?

Nella Repubblica Elvetica, c'è un referendum per limitare le maxi-retribuzioni dei manager. Nel nostro paese non sarebbe possibile nel settore privato, ma in quello pubblico sì

Appuntamento al 24 novembre prossimo. E' il giorno in cui i cittadini svizzeri dovranno votare a un referendum proposto dallafederazione giovanile del partito socialista, per approvare o bocciare una proposta che fa molto discutere: fissare nella costituzione elevetica un tetto massimo ai compensi dei manager, anche a quelli del settore privato, con la formula di 1 a 12. In pratica, chi propone il referendum vorrebbe che i dirigenti di un'azienda non possano guadagnare in un mese più di quanto percepisce in un anno (cioè in 12 mensilità) il lavoratore meno pagato nell'impresa.

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Si tratterebbe di un duro colpo per molti top manager che abitano in Svizzera, in particolare quelli del settore bancario e finanziario, che vengono ingaggiati di solito con compensi milionari. A ben guardare, il referendum voluto dai giovani socialisti non ha molte chance di ottenere una maggioranza di sì, almeno secondo gli ultimi sondaggi che non escludono però del tutto un colpo di scena nei risultati. Aldilà dell'esito delle urne, questa idea nata nella prospera Repubblica Elvetica suscita clamore anche nel nostro paese. Cosa accadrebbe, per esempio, se si adottasse un provvedimento simile in Italia?

A dire il vero, nel nostro paese è da scartare a priori l'ipotesi di un referendum su questi temi, poiché la legge permette soltanto le consultazioni popolari abrogative, che consentono di cancellare una norma già in vigore. Inoltre, è difficile che il Parlamento possa mettere bocca su queste questioni, poiché l'ammontare dei salari è una materia che viene lasciata di solito alla contrattazione collettiva tra imprese e sindacati. Basti pensare che in Italia non esiste neppure uno stipendio minimo fissato per legge, come in altri paesi, proprio perché a stabilirlo sono gli accordi collettivi firmati in ogni singolo settore dalle parti sociali.

E' possibile, invece, che la legge stabilisca un tetto massimo per i compensi dei dirigenti pubblici, come è già stato fatto per le società e gli enti controllati dal Tesoro, dove i top manager non possono percepire uno stipendio superiore a quello del primo presidente della Corte di Cassazione (circa 300mila euro lordi all'anno). Restano però escluse alcune aziende quotate in borsa o che emettono strumenti finanziari negoziati sul mercato come Eni, Enel, Finmeccanica, la Cassa Depositi e Prestiti, Poste Italiane e le Ferrovie. Inoltre, non sono inclusi in questo provvedimento i manager che operano nelle società controllate dagli enti locali (come le ex-municipalizzate). Su questo fronte, è stata però appena presentata in Parlamento una proposta di legge per iniziativa di Titti Di Salvo, deputata di Sel, che mira a estendere a tutti i manager pubblici, nessuno escluso, il tetto dei 300mila euro alla retribuzione.

Che sia giusta o meno la soglia proposta dalla Di Salvo, una cosa resta certa: i manager di stato italiani oggi non se la passano certo male. Secondo i dati resti noti dall'Ocse, infatti, nel nostro paese i dirigenti che occupano posizioni di vertice nella pubblica amministrazione hanno uno stipendio medio di 650 mila dollari (circa 480mila euro) contro i 260 mila dollari dei loro colleghi francesi, i 231mila dei tedeschi, i 348mila dei britannici e i 275mila degli statunitensi.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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