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Le delegazioni russa e ucraina al tavolo dei negoziati a Brest, in Bielorussia, il 3 marzo 2022 (GettyImages).
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Guerra in Ucraina: intesa su cessate il fuoco e corridoi umanitari

Il secondo round di colloqui fra Kiev e Mosca in Bielorussia accende qualche speranza per i civili.

Sì ai corridoi umanitari per consentire ai civili di allontanarsi da città e villaggi distrutti o costantemente sotto attacco. Sì anche al cessate il fuoco, nei termini in cui questo serva ad assicurare il funzionamento degli stessi corridoi. Almeno su questi due punti – che comunque non sono garanzie sufficienti - si è raggiunto l’accordo a Brest, nella foresta di Bialowieza tra Polonia e Bielorussia, dove era in corso la seconda giornata di trattative tra le delegazioni ucraina e russa. I negoziatori sono stati gli stessi della prima fase.

A guidare gli ucraini – che si sono presentati iconicamente in abiti da guerra, a sottolineare il loro ruolo di resistenti - c’era ancora il ministro della Difesa Oleksii Reznikov. A capo di quella russa, di nuovo Vladimir Medinsky, consigliere di Putin. Il secondo round dei colloqui, come il primo, non è cominciato sotto i migliori auspici ed è stato reso particolarmente pesante dalle prese di posizione di Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. I presidenti ucraini e russo si sono esibiti, a distanza, in un botta e risposta che ha lasciato fin da subito poche illusioni riguardo alla possibilità di arrivare ad una composizione degli opposti interessi.

L’ucraino Zelensky è stato il primo a indire una conferenza stampa il cui nodo fondamentale è stata la richiesta all’omologo russo di parlare a quattr’occhi, di risolvere con un incontro diretto la situazione. «Io non voglio parlare con Putin, io devo parlare con lui. La guerra deve finire» aveva detto Zelensky, lanciando poi una dura accusa a Mosca. «I russi portano qui dei forni crematori per bruciare i corpi dei loro soldati e sottrarli a una giusta valutazione dell’opinione pubblica interna» è il riassunto delle insinuazioni.

Putin ha risposto durante una riunione già programmata col suo Consiglio di Difesa, definendo i combattenti ucraini «neonazisti che si camuffano da civili e usano i civili veri come scudi umani, impedendo agli stranieri – è stato fatto riferimento ai cittadini cinesi per mostrare l’interesse per tutto ciò che riguarda l’alleata Cina - di allontanarsi dal Paese, usando metodi brutali, mentre la Russia sta cercando di fare di tutto per limitare le perdite tra i civili».

Putin ha tentato di porsi, dunque, come un difensore dei diritti e ha provato a placare l’opinione pubblica interna, sempre più ostile per le numerose perdite di militari russi. Il presidente ha promesso infatti risarcimenti per le famiglie dei militari morti e feriti in guerra, esaltandone il ruolo. «I nostri soldati combattono per la pace, per demilitarizzare la zona, per eliminare i nazisti dal Paese» ha detto continuando nella sua retorica che non nomina mai la guerra ma descrive un’«operazione speciale» volta a portare la pace in Ucraina ed evitare il genocidio nel Donbass.

A rendere ancora più complicati i colloqui, era stata altresì una giornata particolarmente movimentata. Attacchi sono proseguiti per tutto il tempo e, come aggravante, si è aggiunta la minaccia che la Russia ha fatto arrivare dal Mar Nero. Tre navi, tra le quali due lanciamissili, si sono dirette verso Odessa. Rapidamente si è diffusa la notizia di un imminente attacco che le navi avrebbero messo in campo non appena fossero arrivate, a copertura, anche le truppe di terra. Le autorità di Odessa avevano chiesto ai cittadini di recarsi nei rifugi.

Proprio sotto la minaccia di attacchi che proseguivano nelle principali città, la delegazione ucraina ha posto con maggiore forza sul tavolo delle trattative i tre punti che erano già all’ordine del giorno: cessate il fuoco immediato, armistizio e corridoi umanitari. La conclusione dei lavori, come si diceva, ha visto l’accordo su tali punti, ma questo non è un segnale di distensione. Anzi, va letto in relazione ad altre dichiarazioni arrivate nel corso dell’agitatissima giornata. Putin aveva anticipato la sua posizione su quello che sarà il corso di questa guerra al suo interlocutore privilegiato di queste ore, il presidente francese Emmanuel Macron. Il rappresentante dell’Eliseo non ha fatto mistero di quello che Putin ha in mente, ammettendo che «il peggio deve ancora venire».

«Putin mi ha espresso la sua grande determinazione a continuare la sua offensiva, il cui scopo è prendere il controllo dell’intera Ucraina» ha detto Macron. Dichiarazioni che fanno il paio con quanto aveva fatto emergere, a sua volta, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov. «Qualunque cosa si decida al tavolo, l’operazione militare russa va avanti. L’obiettivo è la demilitarizzazione dell’Ucraina». Tristemente, c’è da supporre che i corridoi umanitari saranno l’ultima chance per la popolazione prima di un’escalation più dura che mai.

Del resto, la delegazione russa ha mantenuto posizioni rigide, continuando a chiedere ciò che vuole fin dal principio: garanzie che l’Ucraina abbandoni l’idea di entrare nella Nato e volti le spalle all’Unione europea guardando a Mosca, riconoscimento ufficiale dell’appartenenza della Crimea alla Russia e concessione di autonomie «spinte» ai territori russofoni e russofili del Donbass. Con un dialogo basato su queste premesse, la salvaguardia almeno della popolazione è stato il massimo obiettivo che si è riusciti a raggiungere. In ogni caso, un terzo round di colloqui si terrà la prossima settimana. Ma le speranze che possa portare qualcosa di decisivo si affievoliscono di ora in ora.

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Daniela Lombardi