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(Ansa)
Dal Mondo

Elisabetta, la Regina di un popolo e di due secoli

Per quasi 70 anni è stata alla guida di una monarchia, di un paese, superando guerre, crisi familiari, la Brexit ed il Covid. Senza mai perdere lucidità e stile

Coriacea e determinata, longeva e avveduta, intuitivamente contemporanea pur avendo attraversato due secoli di Storia. La regina Elisabetta II è stata tutto questo e molto altro ancora. Soprattutto, è stata la miglior garante della monarchia britannica: non solo per aver sempre mostrato al mondo cosa significa «comportamento regale», ma anche per l’affetto, la credibilità e la stabilità che ha saputo dare in settant’anni di regno.



Con la sua scomparsa, la «regina più amata» entra nella storia come il monarca più longevo al mondo, avendo ufficialmente superato tutti i «concorrenti», compreso re Bhumibol Adulyadej di Thailandia (anch’egli settant’anni di regno, scomparso nel 2016).

Per trovare qualcuno all’altezza del suo record bisogna tornare al XVII secolo e a Luigi XIV di Borbone, il «Re Sole» che governò in Francia per ben 72 anni e 110 giorni. Ma, va detto, era entrato in carica a soli 13 anni. Anche Elisabetta era molto giovane quando posero sul suo capo la corona d’Inghilterra, il 2 giugno 1953: suo padre, Giorgio VI era morto mesi prima, mentre Elisabetta si trovava in Kenya con il marito Filippo, e la sua vita da allora cambiò per sempre.

Dovette crescere in fretta, pur allevata nella consapevolezza che un giorno avrebbe regnato sull’Impero britannico. Intanto, la seconda guerra mondiale aveva portato con sé il tramonto del sogno egemonico inglese e scatenato l’inizio della fine delle numerosissime colonie di Sua maestà, vera gloria e vanto di Londra per secoli. Ridimensionata nella sua grandezza, la forza della monarchia però rimase immutata grazie a lei. Elisabetta II governò in maniera sobria e impeccabile l’Inghilterra e i quindici Paesi del Commonwealth (compresi Canada e Australia) dei quali sarebbe rimasta formalmente capo di Stato, anche dopo la decolonizzazione.

Al punto che, per i festeggiamenti del suo sessantesimo anno di regno, nel febbraio di dieci anni fa, il Times di Londra sentenziò: «Sessant’anni senza errori». Un parere che quasi tutti - tra i suoi sudditi, gli storici, i suoi biografi e i numerosi capi di Stato che le sono sfilati davanti – hanno sempre condiviso.

E, spiace dirlo, ma neanche la pagina lacrimevole della fine prematura della principessa Diana - che fiumi d’inchiostro ha generato e che ha per un attimo appannato l’immagine di Sua altezza reale (per l’algida compostezza mostrata nei confronti della nuora e per i ricami dei giornali scandalistici) – ha potuto scalfire la certezza che l’icona britannica più amata nel mondo non sia mai stata Diana Spencer, né la Union Jack. E che i suoi più grandi ambasciatori non sono stati i Beatles o Rolling Stones. Ma sempre lei: la figlia maggior del Duca di York, Elizabeth Alexandra Mary.

Classe 1926, nata dal principe Albert (poi re Giorgio VI) ed Elizabeth Bowes-Lyon, duchessa di York, fu sempre chiamata col soprannome che amava, «Lilibet», che lei stessa si sarebbe data. Studiò esclusivamente a corte e fece sempre un’ottima impressione agli illustri ospiti della Casa Reale, che rimanevano colpiti dalla sua educazione, dalla maturità e dal carattere deciso sin dai primi vagiti. Al punto che Winston Churchill, osservandola quando ancora aveva tre anni, disse di lei quasi avendo una premonizione: «Ha un’aura di autorità e di riflessività sorprendente per un’infante».

Mentre Churchill guidava il Regno Unito e l’Europa fuori dal conflitto mondiale e una pioggia di bombe tedesche piovevano su Londra, una giovanissima Elisabetta (tredici anni appena allo scoppio delle ostilità) fu costretta a rifugiarsi nel Castello di Balmoral, la storica residenza di caccia dei reali inglesi, dove si è poi spenta. Balmoral sarebbe poi divenuto uno dei suoi ritiri estivi preferiti, a dimostrazione di quanto i ricordi della guerra, anziché spaventarla, instillarono in lei la certezza che la democrazia avrebbe sempre prevalso sulle dittature.

Nonostante nel secondo Novecento l’Inghilterra non fosse ormai più la prima potenza del mondo e il più vasto impero marittimo della storia, il Regno Unito sotto Elisabetta II ha continuato a occupare i primi posti nelle gerarchie mondiali quanto a prestigio e potenza, mantenendo un ruolo di assoluto rilievo negli equilibri di potere dell’Europa continentale. Anche dopo la Brexit, Londra rimane oggi tra le prime dieci economie del mondo, una delle maggiori potenze commerciali e finanziarie del pianeta, e uno degli eserciti più avanzati dell’Occidente; nonché uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu e un influente protagonista della Nato.

Amante dei cavalli e della guida, eccentrica non meno dei suoi connazionali nel vestire, ha gestito ogni epoca che ha attraversato con sapienza e acume, senza mai rinnegare se stessa. E in fondo, proprio il suo essere inalterabile e fedele a se stessa (e alla Corona) l’ha resa l’ultima figura immortale del nostro tempo, nonché icona pop per eccellenza: dai Sex Pistols alle mug con il suo volto impresso sopra, da Andy Warhol alle serie tv, non c’è persona al mondo che non la riconoscerebbe a un’occhiata anche solo fugace. Nel 1976 fu tra i primi capi di Stato a spedire un’e-mail, mentre nel 2019 è apparsa persino in una videocall con la figlia Anna su Zoom. A riprova di come non le siano mai mancati l’ironia e il senso dello humor (inglese, s’intende). Anche così si costruisce un mito.

La sovrana il 6 febbraio di quest’anno aveva festeggiato il Giubileo per i 70 anni di regno, per la prima volta senza il suo amato principe consorte: il non meno longevo Filippo Duca di Edimburgo, scomparso il 9 giugno 2021 e al suo fianco sin dal lontano 20 novembre 1947, giorno in cui la prese in sposa nell’abbazia di Westminster, con la Bbc che ne trasmise la cerimonia.

Non abbiamo ancora parlato di politica. Ma va da sé che lei è l’Inghilterra e l’Inghilterra è la sua regina, per le prerogative che la carta costituzionale le riconosce. Sebbene il monarca britannico sia formalmente la fonte dei tre principali poteri istituzionali - in quanto tanto il Parlamento quanto il governo e le Corti agiscono in suo nome - la sovranità non appartiene più alla corona già dal 1689, quando il Bill of Rights sancì il principio della sovranità parlamentare. Da allora, in teoria, la corona svolge principalmente ruoli cerimoniali all’interno del sistema monarchico costituzionale parlamentare.

Ciò nonostante, i «consigli» da lei dispensati in questi settant’anni, sono valsi più della legge in certi casi. Inoltre, il monarca inglese nomina il primo ministro, comanda le forze armate, e può rigettare le leggi licenziate dal Parlamento attraverso il cosiddetto istituto della «sanzione regia» (che tuttavia non è più stato applicato dal 1708). La sovrana ha fatto un uso avveduto delle sue prerogative e, con il suo aplomb, ha gestito ben 12 presidenti americani, 14 premier britannici, 7 pontefici e innumerevoli presidenti del consiglio italiani (il numero non lo pubblichiamo, sarebbe impietoso). Oltre a ciò, ha compiuto più di 250 visite ufficiali all’estero, e veduto oltre 130 nazioni.

Scandali, crisi economiche, guerre, Brexit e caos per la successione sono stati parte della storia nazionale britannica e servirebbe un’enciclopedia per una disamina approfondita degli eventi che Elisabetta II ha gestito o cui ha contribuito personalmente. Resta il fatto che se la monarchia britannica e le stesse gloriose istituzioni e tradizioni anglosassoni hanno retto al nuovo millennio, questo è stato grazie al suo fulgido esempio di monarca incorruttibile e irreprensibile. Al punto che un giorno Elisabetta II sarà ricordata come sinonimo di regina.

La regina è morta. Dio salvi la Regina.

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Luciano Tirinnanzi