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(Ansa)
Dal Mondo

La fine di Navalny, un classico per tutti i nemici di Putin

Cos'ha lasciato dietro di se il principale oppositore di Putin degli ultimi 10 anni

«L’ora X della Russia contemporanea scatta all’alba del 20 agosto 2020, quando Alexei Navalny perde conoscenza e cade sulla moquette del corridoio di un aereo low-cost nel cielo della Siberia. La notizia si diffonde subito in tutto il mondo, insieme a un video girato da un passeggero, dove si sentono urla strazianti». Inizia così il coraggioso saggio dedicato al principale oppositore del regime russo Navalny Contro Putin (Paesi Edizioni, 2021), opera della giornalista e massima esperta di Russia, Anna Zafesova, scritto in seguito all’incredibile tentativo di avvelenamento del principale oppositore di Vladimir Putin ad opera dei servizi segreti russi. Un testo illuminante, perché anticipatore sia della guerra che Putin scatenerà in Ucraina sia della fine stessa di Navalny, messo nel mirino dal Cremlino e divenuto un dead man walking proprio a partire da quella data.

In occasione dell’avvelenamento Navalny si salverà, come noto, ma il suo destino è ormai segnato. Il Cremlino lo vuole zittire e, non essendoci riuscito attraverso il veleno, lo farà tramite una corte di tribunale che riconoscerà l’oppositore colpevole di più crimini, tra cui truffa aggravata, condannandolo prima a nove e poi a vent’anni di galera. «Alexei Navalny era una minaccia al potere» commenta Zafesova, nel ricostruire il percorso che poco più di tre anni dopo dal suo avvelenamento porterà Navalny alla morte.

«La sua organizzazione era diventata abbastanza ramificata da poter sfidare Russia Unita», il partito del presidente Putin, «in almeno una quarantina di regioni dello sconfinato territorio amministrativo russo. La gente lo fermava per strada per farsi immortalare con lui e i ragazzi in Rete parlavano con le sue battute, i suoi meme, con la sua voce. «La macchina buona della propaganda che aveva inventato stava aumentando i giri, trasformandosi da un gioco virtuale in una potenza mediatica, e la pioggia di arresti, incriminazioni, perquisizioni e censure che si stava intensificando di pari passo con i like mostrava che era sulla strada giusta per diventare l’unica alternativa al regime».

Per questo motivo, il presidente Vladimir Putin aveva paura anche solo a pronunciare il suo nome in pubblico. E così, prima delle elezioni locali in Siberia del settembre 2020 e un anno prima del voto per la Duma del settembre 2021 – dove Navalny avrebbe voluto fare il passo decisivo per candidare il suo movimento come principale opposizione al regime – il Cremlino decide di metterlo a tacere per sempre.

Ricostruisce Zafesova: «A Mosca sono le 4.50, a Tomsk le 8.50. Il volo 2614 della compagnia S7 è decollato da Tomsk meno di un’ora prima, e la presenza a bordo di uno degli uomini più popolari della Russia non è passata inosservata: le numerose foto e i selfie che i passeggeri scattano con Navalny al bar dell’aeroporto e sul pulmino che li porta a imbarcarsi, aiutano a certificare che il politico sembrava in ottima forma. Anche il comandante Vladimir Kuzmin riconosce nel passeggero svenuto in corridoio il famoso oppositore e chiede un atterraggio d’emergenza: “La cosa più probabile è un avvelenamento”, dice, sapendo di stare salvando la vita a un uomo, ma ignorando di stare cambiando la storia».

Navalny è salvo, per il momento, ma non può più rimanere libero: «Non dopo essere sopravvissuto all’avvelenamento di Stato e aver accusato apertamente Vladimir Putin di esserne il mandante» sottolinea ancora Zafesova, rimarcando come il presidente della Russia sapesse benissimo che «per un dittatore mostrarsi spietato non è un capriccio, è una funzione vitale e una necessità. È il suo modo di governare, e non deve apparire machiavellico o troppo sottile: deve mandare messaggi chiari e comprensibili a tutti».

E così oggi il messaggio è arrivato chiarissimo a tutto il mondo. Chi contesta il regime muore. Era stato così già per Yevgeny Prigozhin, oligarca convertito a capo militare, leader della milizia privata Wagner che, dopo mesi a combattere in Ucraina, a giugno 2023 aveva lanciato una sfida a Mosca e a Putin stesso, affermando di voler rovesciare la leadership militare russa. Dopo il tentato golpe, era fuggito in Bielorussia e il 23 agosto scorso l’aereo su chi viaggiava si era misteriosamente schiantato tra Mosca e San Pietroburgo, abbattuto da un missile o per via di una bomba a bordo.

Navalny invece non possedeva una milizia né un partito. Era semmai un battitore libero, trasversale, che non aveva etichette, ma la sua protesta aveva dato coraggio a quanti oggi in Russia non credono più nella leadership di Vladimir Putin. Per questo è stato avvelenato e imprigionato, per questo è morto.

Oggi, la Russia di Putin, delfino scelto dalla famiglia di Boris Eltsin per garantire una transizione indolore, si è trasformata in un centro di potere verticistico sempre più aggressivo e vendicativo, dove il potere del leader è totale: «Un paradosso di tutte le dittature che contiene il germe della loro distruzione; ma del resto, se fossero capaci di negoziare non sarebbero più dittature» è opinione di Anna Zafesova.

Dopo aver azzerato le opposizioni alle elezioni; dopo aver eliminato simboli come Navalny; e ancora dopo il mancato golpe della milizia Wagner, Vladimir Putin non conosce più rivali al suo potere assoluto. E dunque non ha molto da temere, se non un colpo di palazzo in cui le élite al governo e gli oligarchi sostituiscano Putin stesso con un novello Gorbaciov, che poi è esattamente l’obiettivo che l’Occidente si prefiggeva di ottenere con le sanzioni e le pressioni sulla Russia. E che era anche lo scopo di Navalny: trasformare Putin da soluzione a problema agli occhi della sua stessa nomenclatura, e del suo elettorato.

Ma tutto questo non è accaduto, né si può più sperare nella liberazione di Alexey Navalny a simboleggiare la svolta della Russia verso la democrazia. Al contrario, la guerra in Ucraina infuria e la scia di sangue da Mosca si allunga sempre più verso l’Europa.

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Luciano Tirinnanzi