Prigozhin aereo
(Ansa)
Dal Mondo

Incidente o attentato. I mille dubbi della morte (?) di Evgeny Prigozhin

Sono mille i dubbi attorno alla fine del capo della Wagner e sullo sfondo c'è il grande sospetto della lunga mano di Putin

Yegevny Prighozin a quanto pare è morto. Abbattuto sui cieli di Russia mentre era a bordo di un jet privato in compagnia del numero due del gruppo, il neonazista Dmitri Utkin. Dunque, era tutto vero. Il golpe, la ribellione, la vendetta. «Ogni traditore sarà punito» aveva promesso Vladimir Putin. E così è stato, almeno in apparenza. Come già con Anna Politkovskaya, Pavel Klebnikov, Sergei Yushenkov e il tentato avvelenamento di Alexey Navalny, solo per citare le vittime più famose del regime putiniano prima che la guerra in Ucraina scatenasse un’ondata di morti improvvise di numerosi dirigenti e imprenditori russi di spicco, molti dei quali defenestrati, impiccati o avvelenati.

Ma stavolta è diverso, e la portata di questo possibile «omicidio di Stato» è di quelle destinate a pesare sulle conseguenze politiche anzitutto interne alla Federazione. Nulla di tutto ciò che sappiamo sinora, naturalmente, costituisce una prova che Prigozhin e il suo entourage siano stati deliberatamente presi di mira per ordine del presidente. Ma, date le circostanze, qualsiasi affermazione che la sua morte – se sarà confermata – sia stata un incidente farebbe sorridere anche i più complottisti.

Del resto, si trattava di «un uomo morto che cammina»: così molti osservatori russi avevano ribattezzato il «cuoco di Putin», il controverso capo mercenario della Wagner che sino a poco tempo fa amico era considerato il più alto confidente del presidente. Fino a che a fine giugno Prigozhin aveva deciso di guidare una rivolta militare contro i generali russi, rei di aver combinato un disastro in Ucraina.

Dopo tanti annunci e minacce, aveva camminato sui cadaveri dei suoi uomini promettendo di venire a uccidere il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo delle forze armate Valerij Gerasimov. Così ha fatto. Ma la sua marcia verso Mosca si era improvvisamente interrotta e l’ammutinamento era finito in un dietro front dai toni farseschi. Dopodiché era svanito nel nulla. E il segretario di Stato Usa Antony Blinken aveva sardonicamente commentato: «Se fossi il signor Prigozhin, rimarrei molto preoccupato. La NATO ha una politica di porte aperte; la Russia ha una politica di finestre aperte».

Perché il golpista della Wagner non è andato sino in fondo? È probabilmente questa l’unica domanda che potrebbe spiegare le azioni del controverso mercenario e darci la chiave di volta su quanto realmente accade nel dietro le quinte del Cremlino. Adesso, è probabile che la risposta non la conosceremo mai.

Soltanto ieri Yegevny Prighozin era ricomparso per la prima volta dopo il fallito ammutinamento in un video pubblicato sui canali Telegram legati al gruppo mercenario Wagner. In questo lasso di tempo si era detto di tutto su di lui: lo si era dato per morto, amnistiato in Bielorussia, fuggito in Africa o chissà dove. Ieri invece era riapparso in tenuta da combattimento, con uno sfondo che suggeriva che il capo della Wagner si trovasse effettivamente in Africa, magari nelle retrovie dei combattimenti in Niger, dove un golpe sobillato dalla Wagner è invece andato a buon fine. Prigozhin in quel video-discorso affermava che il suo gruppo di miliziani stava rendendo l’Africa «più libera», e contemporaneamente annunciava nuove e imminenti iniziative non meglio specificate

La concomitanza con il vertice dei Brics a Johannesburg, in Sudafrica – aperto il 23 agosto 2023 e a cui da quindici anni partecipano le economie emergenti mondiali (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) – non era passata inosservata, né a Mosca né a Washington, che segue da vicino le vicende russe più di quanto non si pensi. E in questo senso credere alle coincidenze è roba da romanzo rosa. La verità è che molto probabilmente Prigozhin stava provando a tirare la corda anche in Niger e più in generale nel contesto africano, da cui la decisione di mettere fine alle sue intemperanze una volta per tutte.

Il presidente Putin può così portare al tavolo dei Brics (la riunione è ancora in corso) il suo scalpo, il sangue del traditore. Come a dire che la Russia fa sul serio, che i suoi nemici non vinceranno e che Mosca non è affatto un paria della geopolitica. Soprattutto, manda a dire che con lui si devono sempre fare i conti. «La vendetta», dice uno che lo conosce bene come il direttore della CIA William Burns, «è un piatto che Putin preferisce servire freddo».

Isolato, livoroso e impossibilitato a partecipare al meeting economico in Sudafrica (contro di lui è stato spiccato un mandato di arresto internazionale su ordine della Corte penale internazionale), il presidente batte un colpo e con il probabile omicidio di Prigozhin serra le fila tra i suoi generali nella fase più difficile e delicata della sua presidenza. Da notare, infatti, che il jet dove si ritiene fosse il capo della Wagner è stato abbattuto da un missile S-400 ovvero il più tecnologico tra i dardi delle forze armate russe.

«Yevgeny Prigozhin tra sei mesi sarà morto o in Russia ci sarà un altro colpo di stato, come quello tentato lo scorso 23 giugno» aveva sentenziato in una lunga intervista al Financial Times Christo Grozev, analista di spicco di Bellingcat, il gruppo investigativo open source che ha smascherato numerosi complotti e omicidi russi (tra cui l’avvelenamento dell'oppositore Aleksey Navalny). Anche il tentato golpe di giugno era stato ampiamente previsto dall’investigatore. E sembra che le sue fonti siano interne all’élite russa, dove abbondano soggetti per niente favorevoli all’invasione dell’Ucraina.

Da Washington commentano così la notizia: «Abbiamo visto le notizie. Se confermate, nessuno dovrebbe essere sorpreso. La disastrosa guerra in Ucraina ha portato un esercito privato a marciare su Mosca, e ora, sembrerebbe, a questo». Lo afferma la portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Adrienne Watson, in riferimento all’«incidente» aereo in Russia.

Le speculazioni intanto aumentano. Sui canali Telegram si suggerisce che l’aereo precipitato fosse un Embraer Legacy con il numero di serie RA-02795, ma i dati di tracciamento (su FlightRadar24, popolare sito web di monitoraggio dei voli) non mostrano da dove fosse partito.

Le fonti consultate da Panorama convergono sul fatto che l’aereo in giornata era stato osservato vicino a Mosca, dove era salito fino a un’altitudine di circa 8.800 metri prima che i dati mostrassero una discesa improvvisa, finendo a 0 metri. L’aereo era registrato presso la società Autolex Transport, che il governo statunitense ha collegato da tempo a Yevgeny Prigozhin. Negli ultimi mesi aveva effettuato diversi viaggi da e per Mosca e San Pietroburgo, ed era stato indicato dai media locali anche in volo verso la Bielorussia, dove si pensa che il gruppo Wagner abbia ricostituito la nuova sede.

Rimane il mistero di un altro aereo collegato alla Wagner invece atterrato regolarmente a Mosca. Sufficiente ad alimentare le convinzioni (o i timori) di quanti non credono alla morte del capo e di altri dirigenti Wagner, visto che per il momento di certo c’è solo che il nome di Yevgeny Prigozhin era sulla lista passeggeri del volo abbattuto.

Il che ovviamente non ferma la guerra, che prosegue a ritmi sostenuti con scarsi risultati dall’una e dall’altra parte. Certamente la fine prematura del macellaio che da Grozny a Bakhmut ha distrutto intere città per ordine del Cremlino, anche se non fosse confermata, segna un altro punto di non ritorno in questa scellerata guerra.

E il prossimo sulla lista è il generale russo Sergei Surovikin: rimosso dal suo incarico di comandante delle forze aerospaziali due mesi dopo il fallito golpe, Surovikin aveva sostenuto i golpisti della Wagner aprendo loro la base militare di Rostov-sul-Don e lasciandosi poi immortalare in foto a colloquio con Prighozin. Soprannominato «generale Armageddon» per la sua direzione del conflitto in Siria e per i suoi atti da comandante in campo delle forze russe in ucraina da ottobre 2022 a gennaio 2023, anche il suo futuro è segnato. E la sua sopravvivenza o meno da qui a Natale ci offrirà qualche elemento in più per decrittare gli ultimi atti dell’impero putiniano, che pare sempre più alla fine della decadenza.

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Luciano Tirinnanzi