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(Ansa)
Dal Mondo

Il mistero sul numero degli ostaggi nelle mani di Hamas a 5 mesi dal via della guerra

Mentre si complica il dialogo per un cessate il fuoco al centro di tutto ci sono sempre gli ostaggi, il cui numero è difficile da stabilire

A cinque mesi dagli attacchi terroristici nel sud di Israele e dalla successiva e giustificata reazione dello Stato ebraico non si registrano progressi in merito al possibile cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi che sono nelle mani di Hamas e della Jihad islamica. In un’intervista alla Bbc, Basim Naim, uno dei tanti funzionari di Hamas, ha affermato che l’organizzazione non può fornire a Israele una lista degli ostaggi ancora in vita perché non sa quanti siano e dove si trovino. Nell’intervista, rilanciata dai media israeliani, Naim dice che «non è stata presentata alcuna lista: tecnicamente è impossibile sapere chi è ancora vivo, chi è morto per i raid israeliani o per fame a causa del blocco israeliano». Naim ha continuato: «Gli ostaggi si trovano in zone diverse, nelle mani di gruppi diversi: abbiamo chiesto una tregua anche per raccogliere informazioni». In realtà Israele non richiede l’elenco nominale degli ostaggi ancora in vita, ma solo il loro numero, insieme al numero dei detenuti palestinesi richiesti in cambio. Ma quanti sono gli ostaggi in vita? Secondo Yedioth Ahronoth, Israele stima che ci siano circa 40 ostaggi vivi che potrebbero essere liberati con un accordo, ma il numero preciso non è noto. Purtroppo, non siamo sorpresi perché che gli ostaggi non sono più 134, lo abbiamo scritto nelle scorse settimane dopo essere stati in Israele e aver partecipato a vari briefing di sicurezza. Così come non siamo sorpresi di quanto afferma il dirigente di Hamas («Impossibile sapere esattamente chi è ancora vivo, chi è morto per i raid israeliani o per fame»), perché è esattamente quello che diranno per giustificarne la morte. Tutti lo sanno ma nessuno ha il coraggio di dirlo. Vista la posizione e le menzogne di Hamas lo Stato ebraico ha deciso di non inviare una delegazione al Cairo per partecipare ai colloqui con Hamas, mediati dagli Stati Uniti, il Qatar e l’Egitto, dato che è ormai chiaro che si tratta di un gigantesco inganno. Ma c’è di più, ieri come scrive il sito di notizie Rai al-Youm, Hamas ha alzato di nuovo la posta e ha chiesto la liberazione di Marwan Barghouti e di altri prigionieri palestinesi di alto profilo condannati per atti terroristici nella sua proposta finale «non negoziabile» presentata ai mediatori egiziani. Oltre alla liberazione di Barghouti, viene richiesta la scarcerazione di Abdullah Barghouti, principale produttore di esplosivi di Hamas, del capo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Ahmad Sadat, di Ibrahim Hamed, ex comandante dell'ala militare di Hamas in Cisgiordania, e di Abbas al-Sayed, coinvolto in vari attentati che hanno causato la morte di numerosi israeliani. Inoltre, Israele dovrebbe rilasciare tutti i prigionieri malati, coloro che hanno più di 60 anni o meno di 18 anni, e tutte le donne, nonché 57 individui precedentemente liberati nell'accordo per la liberazione del soldato Gilad Shalit e poi nuovamente arrestati per terrorismo. Secondo la proposta di Hamas, Israele dovrebbe ritirarsi completamente da Gaza prima di procedere al rilascio di un secondo gruppo di ostaggi. Infine, i terroristi chiedono la piena libertà di movimento a Gaza e l'accesso senza restrizioni agli aiuti umanitari.

Tutto questo cosa significa? Che Hamas vuole continuare la guerra, come diciamo ormai da settimane ma nonostante tutto questo c’è ancora chi crede alle balle dei dirigenti di Hamas e continua a parlare di cessate il fuoco. Questo dimostra anche la capacità di Hamas di manipolare tutti gli altri soggetti coinvolti nell'elemento diplomatico del conflitto. Il cessate il fuoco capovolge la dinamica del potere in modo tale da consentire all’unico attore non statale e terroristico di dire a tutti gli altri cosa fare. Questo perché, semplicemente, Israele valorizza la vita mentre Hamas ha a cuore la morte, la morte di chiunque, compresi i civili palestinesi usati come scudi umani e tutto questo con buona pace della delegazione di parlamentari italiani di sinistra capitanati da Laura Boldrini e Alessandro Zan che in questi giorni si trovano nei pressi del valico di Rafah per agitare le bandiere della pace senza dire una sola parola sulle donne stuprate e trucidate da Hamas il 7 ottobre 2023. Un silenzio assordante il loro. La guerra in Ucraina e quella a Gaza hanno una cosa in comune: sia Vladimir Putin che i vertici di Hamas non vogliono assolutamente fermarsi (e non è che nessuno non abbia provato a parlare con Putin in questi due anni), non è certo un caso che «i pacifinti» ripetano gli stessi concetti, mentre Putin fa uccidere i suoi ormai pochi oppositori in carcere -vedi il povero Aleksei Navalny. Da settimane campeggiano su tutte le televisioni personaggi che blaterano frasi vuote come «bisogna dare spazio alla diplomazia», «cessate il fuoco subito», oppure «Israele deve fermarsi!». E così mentre costoro passano da un salotto televisivo all’altro (e incassano il cachet) e si riempiono la bocca di frasi ad effetto, su Israele cadono i missili degli Hezbollah (e non solo), nel Mar Rosso gli Huthi continuano ad attaccare le navi e in Europa si è scatenata la caccia all’ebreo, visti le centinaia di episodi di antisemitismo. L’ultimo, ma solo in ordine di tempo, è accaduto a Zurigo (Svizzera) dove un quindicenne tunisino naturalizzato svizzero armato di coltello ha aggredito un ebreo ortodosso. In un video il ragazzo che si identifica come Ahmed al-Dabbah (il macellaio) giura fedeltà all’Isis, esattamente come hanno fatto nel recente passato tutti i cosiddetti «lupi solitari» (che alla fine non sono mai da soli), scagliatisi contro cittadini inermi in Francia, Germania, Belgio solo per citare alcuni casi. Il ragazzo nella sua rivendicazione parla di «blasfemia» e «di aver pianificato di attaccare una sinagoga e di volere uccidere il maggior numero possibile di ebrei di scendere in piazza e massacrare tutti i non credenti». Ma chi fornisce armi, munizioni, addestramento ad Hamas, agli Hezbollah, agli Huthi e alla Jihad islamica? L’Iran del quale i nostri pacifinti e i media mainstream non dicono una sola parola e lo stesso vale per il Qatar che è il grande protettore dei fratelli Musulmani e quindi del suo braccio armato rappresentato da Hamas.

Gli emiri di Doha ora recitano la parte dei mediatori mentre ospitano e finanziano i vertici del gruppo terroristico sperando che non arrivi anche per loro la resa dei conti perché prima o poi dovranno pagare per aver finanziato per decenni il terrorismo. Nel frattempo, gli Al Thani fanno spallucce e ieri hanno annunciato attraverso l’ambasciatore del Qatar alle Nazioni Unite, Sheikha Alya Ahmed bin Saif Al Thani, altri 25 milioni di dollari per l’UNRWA travolta dalle accuse di complicità per almeno 450 dei suoi dipendenti con i terroristi, «in modo da aiutarla a soddisfare le esigenze di emergenza» e dove andranno questi soldi? Lo sappiamo molto bene come abbiamo visto in questi mesi. Secondo l’analista Giovanni Giacalone, «teniamo conto di una cosa, il Qatar non solo ha finanziato diversi gruppi islamisti radicali in Siria durante la guerra civile, rafforzando così indirettamente il consenso nei confronti del regime di Assad che veniva conseguentemente visto come ‘baluardo antijihadista’ in Siria, di fatto alleato chiave del regime iraniano, ma Doha è anche il principale finanziatore dell’islamismo in Occidente. È sufficiente leggere il testo Qatar Papers di Chesnot e Malbrunot per rendersi conto della fondamentale importanza del flusso finanziario del Qatar nel sostegno all’area Fratelli, di cui Hamas è il ramo palestinese. Purtroppo, l’inchiesta Qatar Papers, che è soltanto la punta dell’iceberg, non è stata ripresa e sviluppata da nessuno, così come lo stesso Qatar-Gate non ha avuto un seguito. Tornando ad Hamas, dove vivono i massimi leader dell’organizzazione terrorista? A Doha. Come mai il Qatar non li ha ancora espulsi? Come mai nessuno in Occidente ha ancora chiesto provvedimenti nei loro confronti a Doha, nonostante che Hamas sia classificata come organizzazione terrorista in Occidente? Per quanto mi riguarda il quadro è chiaro».

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Stefano Piazza