arabia saudita medici
Getty Images
Dal Mondo

«Io, italiano, medico in Arabia. La paga è super ma non è tutto un paradiso»

Parla Carlo Pagano, endocrinologo che per un anno ha lavorato in un ospedale saudita. Paghe alte ma non è tutto come viene descritto...

«Ho fatto il medico in Arabia Saudita, hanno un'organizzazione eccezionale che riprende il modello americano ma non tutti vengono curati allo stesso modo». Inizia così il racconto di Carlo Pagano, medico endocrinologo che ha esercitato per un anno la sua professione in Arabia Saudita, oggi divenuta metà ambita per i professionisti della salute che fuggono dall'Italia in cerca di condizioni lavorative migliori. Un contesto culturalmente molto diverso da quello europeo per via delle leggi islamiche ma che non sembrerebbe spaventare medici ed infermieri passati all'assalto di un Paese in grado di triplicare i loro stipendi Italiani.

Secondo l’Associazione medici stranieri in Italia (Amsi), difatti ci sarebbero 550 professionisti sanitari europei che hanno deciso di trasferirsi nella patria del principe Moḥammad bin Salmān. Ovviamente solo uomini per via delle leggi islamiche.

Dottor Pagano che ne pensa del boom di richieste per andare a lavorare in Arabia Saudita?

« Nel 2021 ho lavorato per un anno in Arabia Saudita in un ospedale privato e sinceramente ho incontrato pochissimi medici italiani, infatti mi sembra strano il boom di richieste di cui si parla ultimamente».

Come è stato reclutato?

«In Arabia le procedure di assunzione che portano a stipulare dei contratti internazionali avvengono tramite le agenzie che fanno da intermediarie per il reclutamento di figure professionali. Chi mi ha ingaggiato è un agenzia europea con sede a Praga ed il compenso l'ho pattuito con l'ospedale. Molti vengono selezionati anche attraverso canali come LinkedIn. Io sono laureato in endocrinologia e sono stato valutato da una commissione del ministero molto severa. Dopo il colloquio ho iniziato a lavorare in un ospedale privato con un contratto di 48 ore settimanali, 6 giorni su 7».

Cosa può dirci della sua esperienza lavorativa?

«Dal punto di vista professionale le posso dire che la struttura ospedaliera in cui lavoravo fa parte di una catena di 10 ospedali privati che si chiama "Mouwasat" che vivono di convenzioni con le assicurazioni. In Arabia infatti il servizio sanitario è pagato dalle aziende per cui si lavora. L'ospedale era di dimensioni medie con 300 posti letto. Mi sono trovato bene perché era una realtà più piccola in cui ho potuto esercitare la mia professione a 360 gradi mentre nelle aziende universitarie italiane è più difficile. Ho curato tante tipologie di pazienti tra cui donne che però potevo visitare solo in presenza di un'infermiera di sesso femminile. C'è però da dire che in questi ospedali sauditi, diversamente da quelli italiani, non si curano solo le persone ma si cerca anche di fare profitto. Quindi non a tutti spettano le stesse cure previste per la patologia da cui sono affetti ma dipende dalla tipologia di assicurazione. Alcune assicurazioni coprono tutto altre purtroppo no. Infatti mi è capitato di avere in cura un bambino che aveva un ritardo nella crescita e gli ho somministrato un ormone ma poteva assumerlo solo fino a 9 anni, perché poi non era più rimborsabile perché dai 10 anni in poi la famiglia avrebbe dovuto pagarlo di tasca propria. Questo episodio mi sinceramente mi ha procurato un problema etico».

È vero che non vengono assunti professionisti sanitari di sesso femminile?

«È assolutamente falso, almeno nell'ospedale in cui lavoravo anzi il 30% dei miei colleghi era di sesso femminile e le donne entravano sole senza essere accompagnate. L'ospedale diciamo che è una zona franca. Però ad esempio una cosa che è accaduta ai miei colleghi ginecologi e di cui sono rimasti perplessi è che quando una donna deve partorire è il marito a decidere il tipo di parto (cesareo o naturale). Mentre a me capitava che se avevo una paziente che veniva accompagnata dal marito dovevo riferire a lui».

Di che stipendi parliamo?

«Il trattamento economico non è così alto come si legge sui giornali nonostante ci sia una tassazione bassa si deve far fronte a molti costi come il visto, l'assicurazione sanitaria che incidono non poco e non esiste nessuna forma previdenziale. Io guadagnavo sugli 8mila euro netti mensili ed avevo un alloggio incluso nei benefit davanti all'ospedale».

Come mai ha scelto di andare in Arabia Saudita?

«Ho scelto di andarci soprattutto per la curiosità culturale di conoscere una monarchia assoluta, dove ho riscontrato un benessere diffuso e dove non c'è delinquenza perché il valore della legge coranica è anche etico e morale».

Come mai è andato via?

«Sono andato via per motivi familiari ma ci tornerei a vivere perché sono fiero di aver in qualche modo contribuito alla transizione di questo Paese»

I più letti

avatar-icon

Linda Di Benedetto