Joe Biden
Il presidente Joe Biden (Getty Images).
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Luttwak: «Sì, Biden ha una strategia per l'Afghanistan e la Cina»

Secondo l'analista militare, il presidente degli Stati Uniti ha le idee chiare sulla politica estera fin dal 2009.

Poco dopo essere diventato vicepresidente nel 2009, Joe Biden disse a Barack Obama e all'intero Consiglio di sicurezza nazionale che gli Stati Uniti avrebbero dovuto smettere di cercare di costruire una democrazia femminista proprio in Afghanistan, smettere di cercare di costruire un esercito nazionale da una popolazione pre-nazionale, e smettere di pagare al Pakistan più di 2 miliardi di dollari l'anno per l'uso del porto di Karachi e della strada per Kandahar, mentre il Pakistan finanziava la rete Haqqani, specializzata nell'uccidere gli americani.

I collaboratori della Casa Bianca, e anche il primo Segretario alla Difesa di Obama, Robert Gates, ridicolizzavano le ripetitive perorazioni di Biden che semplicemente ignoravano il consenso degli esperti: i capi civili e militari del Pentagono, sostenuti dai principali esperti dei «think tank», concordavano con i generali Stanley McChrystal e (Dr.)David Petraeus, i comandanti in Afghanistan, che il progresso stava accelerando, poiché sempre più afghani stavano rifiutando il fanatismo per abbracciare il progresso... e questi erano gli esperti sul posto e per di piu grandi esperti!

Petraeus avrebbe presto promulgato il suo manuale di controinsurrezione FM 3-24 (vedi la mia recensione «La controinsurrezione come cattiva pratica militare»). Il 1° aprile 2011, quando i dimostranti di Mazar-i-Sharif attaccarono la Missione di assistenza delle Nazioni Unite, uccidendo tre «cristiani» tra cui il colonnello donna norvegese Siri Skare, dopo che il presidente Hamid Karzai (sì, proprio lui!) aveva denunciato un incidente in cui erano state bruciate alcune copie del Corano, Petraeus non si fermò e non fece le valigie, ma deplorò l'incendio del Sacro Corano, e non gli omicidi, o la responsabilità di Karzai made-in-Usa...

Il problema di Biden sull'Afghanistan era che non poteva persuadere Obama perché Obama era già pienamente convinto... Ma in quanto presidente neo-eletto nuovo a Washington, nuovo anche alla politica, si rifiutò semplicemente di opporsi al consenso di Washington. Occorreva aspettare che Biden stesso diventasse presidente, ma nel frattempo la sua politica sull'Afghanistan (evacuare) era diventata quella di Donald Trump e così..

Ma nel 2009 l'altro problema di Biden era ancora peggiore dell'Afghanistan: una ragione in più per cui voleva che gli Stati Uniti uscissero dall'Afghanistan (e dall'Iraq) era per concentrarsi sulla Cina come minaccia crescente, quando ben pochi americani erano d'accordo con lui, e nessuno alla Casa Bianca. Proprio in quel periodo - il peggiore della crisi finanziaria - gli Stati Uniti stavano chiedendoagli europei, al Giappone e anche alla Cina di pompare la spesa pubblica per salvare l'economia mondiale che stava cadendo in depressione.

Gli europei erano scettici («Crisi? Quale crisi? Solo la vostra crisi della Lehman Brothers, risolvetela voi»). Solo gli inglesi risposero... E i cinesi, i quali lanciarono immediatamente progetti stradali e di altro tipo che impiegarono deliberatamente decine di migliaia di persone con pale e non solo ruspe. Obama era grato e il segretario al Tesoro americano Timothy Geithner era estasiato - ci sono voluti due anni (!) perché gli europei reagissero, e anche allora si mossero molto lentamente, e spesero molto poco.

L'analista Edward Luttwak (Getty Images).

In questo clima, Biden fu di nuovo isolato, quando sottolineà che l'utile spesa pubblica della Cina includeva spese militari in rapida crescita, che contraddicevano la politica di «ascesa pacifica» proclamata da Pechino nel 2004. Avendo presieduto a lungo la Commissione per le relazioni estere del Senato, Biden aveva ascoltato gli avvertimenti di diversi esperti, tra cui l'autore di quest'articolo [The Rise of China and the Logic of Strategy Harvard University Press 2012] e, soprattutto, Kevin Rudd, l'allora primo ministro australiano, che spiegò che i leader della Cina credevano che la fatale «crisi generale del capitalismo» era finalmente arrivata. Era arrivata troppo tardi per l'Urss, ma appena in tempo per far diventare la Repubblica popolare cinese lo Stato più potente del mondo.

Quando gli assistenti di Obama alla Casa Bianca chiesero sommessamente (il Tesoro era più dignitoso) un incremento della spesa da parte della Repubblica popolare cinese, i suoi leader la presero come una licenza per affermare il potere della Cina in tutte le direzioni. A questo proposito ho ricevuto un'informazione personale dal vice ministro degli esteri Fu Ying 傅莹. Era sempre stata una signora molto gentile, ma quando la incontrai a Pechino al culmine della crisi finanziaria del 2009, quasi gridava: «L'America è giù! La Cina è su!». Quando più tardi mi lamentai con Zheng Bijian, autore della politica dell'Ascesa pacifica, mi rispose: «Shīkòng de mǎ», 失控的. Ossia «cavalli imbizzarriti».

L'opinione di Rudd aveva un peso particolare perché egli era considerato filo-cinese (parla fluentemente cinese e ha persino un nome cinese, Lù Kèwén). In quell'anno, il 2009, l'Australia pubblicò un Libro bianco sulla Difesa che chiedeva un'ampia coalizione per contenere la Cina. All'epoca, il premier indiano Manmohan Singh si rifiutava di essere distolto dall'economia, il Giappone aveva il suo primo governo neutralista e Washington preferiva la Cina all'Europa. Solo più tardi, nel 2010, l'incidente delle isole Senkaku (dove un peschereccio cinese fu fermato e posto sotto sequestro dalla Guardia costiera giapponese, ndr), provocando moti anti-giapponesi, intrusioni di frontiera in Himalaya e incidenti in mare, cambiò l'atteggiamento di tutti...

Fu solo alla fine del 2011 che Hillary Clinton, in quanto segretario di Stato, parlò di uscir fuori dal Medio Oriente per concentrarsi sulla Cina, con Susan Rice nello staff di Obama fortemente in disaccordo... Fino a quando la visita di Xi Jinping del 2015 mise fine a tutte le illusioni, rinnegando la promessa di non militarizzare le isole.

Di nuovo, come per l'Afghanistan, la politica cinese di Biden è stata anticipata da Trump, che a modo suo ha finalmente attuato la strategia di coalizione di Kevin Rudd, incontrando il premier giapponese Shinzo Abe ancora prima del suo insediamento, e l'indiano Narendra Modi appena possibile, costruendo alleanze, mentre il suo staff della Casa Bianca tagliava fuori la Cina dalla pipeline tecnologica degli Stati Uniti, nonostante la resistenza della Silicon Valley.

Così solo ora Biden può, finalmente, mettere in atto la sua politica del 2009 - coperta di vergogna perché l'esercito afgano si era rivelato una frode esattamente come aveva previsto, lasciandogli solo la crudele scelta tra il rimandare le truppe in Afghanistan o la fuga caotica. Ma sulla Cina almeno ha il pieno sostegno in patria. E in tutti i paesi intorno alla Cina, tranne il Pakistan, che non riceverà più un centesimo da Biden.

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Edward Luttwak