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(Ansa)
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L'Iran è in un vicolo cieco

Dopo il raid israeliano di Damasco, il regime khomeinista è rimasto intrappolato in un dilemma di difficilissima (se non impossibile) soluzione

Non sembra placarsi la tensione tra Israele e Iran, dopo il raid condotto dallo Stato ebraico a Damasco, in cui sono stati uccisi alcuni alti esponenti delle Guardie della rivoluzione islamica. “Quando attaccano il nostro consolato, è come se avessero attaccato il nostro territorio”, ha tuonato poche ore fa l’ayatollah Ali Khamenei. “Il malvagio regime ha commesso un errore su questo fronte e deve essere punito e sarà punito”, ha proseguito. Parole minacciose, a cui ha replicato il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz. “Se l’Iran attacca dal suo stesso territorio, Israele risponderà e attaccherà in Iran”, ha dichiarato. Dobbiamo quindi attenderci una guerra diretta tra Iran e Israele? Un simile scenario è concreto, anche se, almeno per il momento, forse non ineluttabile.

Partiamo dal senso strategico del raid di Damasco. Con quell’attacco, lo Stato ebraico ha cercato di conseguire vari obiettivi. Innanzitutto, ha voluto dare un segnale chiaro a Hezbollah: ricordiamo infatti che i pasdaran uccisi in quel raid intrattenevano strettissimi legami con l’organizzazione paramilitare libanese. In secondo luogo, con quell’attacco, Israele ha voluto “stanare” un Iran che, finora, si è sempre scaltramente trincerato dietro il suo potente network regionale, conducendo di fatto una guerra per procura contro lo Stato ebraico. Non bisogna infatti dimenticare che Hamas, gli Huthi e la stessa Hezbollah sono storicamente finanziati e armati dal regime khomeinista. Lo stesso brutale attacco del 7 ottobre è servito a Teheran per far deragliare il processo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, mediato da Washington: un processo che, almeno per ora, resta fondamentalmente congelato. Ecco, colpendo i pasdaran a Damasco, Gerusalemme ha voluto spingere l’Iran a uscire allo scoperto, costringendolo a rinunciare ai vantaggi derivatigli dalla sua guerra per procura.

In terzo luogo, stanando Teheran, Israele punta a stanare anche Joe Biden. Gerusalemme considera da sempre - e non senza qualche ragione - la politica mediorientale dell’attuale Casa Bianca come troppo morbida nei confronti degli ayatollah: d’altronde, appena entrato in carica nel 2021, Biden abrogò la linea della “massima pressione” sul regime khomeinista, che era stata attuata dall’amministrazione Trump. Una linea che, nonostante l’attacco del 7 ottobre e l’iperattivismo degli Huthi nel Mar Rosso, il presidente americano si rifiuta ancora di ripristinare (probabilmente per motivi elettorali, visto che – se lo facesse – dovrebbe ammettere davanti ai cittadini americani e al mondo intero di aver commesso gravi errori sul fronte mediorientale). Ebbene, se l’Iran dovesse attaccare direttamente Israele, a quel punto Biden sarebbe costretto a uscire dall’ambiguità e ad assumere una postura necessariamente più severa nei confronti degli ayatollah.

Il punto vero è che, con il raid di Damasco, lo Stato ebraico è di fatto riuscito a gettare la palla nella metà campo iraniana. E adesso il regime khomeinista si trova in un dilemma di difficile soluzione. Se non reagisce direttamente, trasmetterà un’immagine di debolezza ad avversari e alleati. Se reagisce direttamente, rischia un effetto boomerang sotto vari punti di vista. Primo: gli iraniani spingerebbero Washington su posizioni più severe nei confronti della stessa Teheran; secondo: gli ayatollah irriterebbero i sauditi con cui, da circa un anno, sono in piena distensione; terzo: come recentemente ipotizzato dal National Interest, un attacco diretto iraniano potrebbe spingere Israele a mettere nel mirino il regime di Bashar al Assad (il presidente siriano, il cui potere Teheran ha preservato a carissimo prezzo, investendo miliardi di dollari e impiegando ingenti risorse militari). Infine, aspetto forse più significativo, se entrasse direttamente in guerra, l’Iran attirerebbe su di sé maggiore attenzione e pressione internazionale. Insomma, sembra proprio che Israele sia riuscito a intrappolare il regime khomeinista in un dilemma senza via d’uscita.

Ecco perché, nonostante le minacce, al momento Teheran non pare troppo convinta di passare all’azione bellica diretta. “Mercoledì una fonte diplomatica iraniana ha detto al quotidiano libanese Al-Akhbar, affiliato a Hezbollah, che l’Iran ha proposto agli Stati Uniti di astenersi dal colpire Israele ‘per il momento’, se ci sarà un cessate il fuoco a Gaza e Israele non porta avanti l’offensiva promessa contro la città di Rafah, nel sud di Gaza”, ha riferito il Times of Israel. Questo poi non vuol dire che il conflitto non avrà certamente luogo. Vuol dire semmai che i vertici iraniani hanno capito di essere probabilmente finiti in un vicolo cieco. E che ogni mossa che decideranno di attuare potrebbe ritorcersi loro contro.

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Stefano Graziosi