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«I militari italiani al confine tra Israele e Libano stanno rischiando»

La testimonianza di un ufficiale per tre mesi in missione presso la base Unifil colpita da un razzo Hezbollah. Le differenze con le crisi del passato

Il razzo di Hezbollah che ha colpito la base Unifil in Libano dove è impiegato anche il contingente italiano non ha fatto vittime perché non sarebbe esploso. Un caso quindi fortuito quello accaduto nel pomeriggio di ieri a ridosso della Linea Blu e che desta preoccupazione nei militari della missione Onu che si trovano in una zona fortemente a rischio. Un'area a ridosso della linea di demarcazione con Israele dove già a fine marzo le forze speciali del Covi (centro operativo vertice interforze) di Roma, avrebbero fatto una simulazione di evacuazione dei 2800 Italiani che lavorano in Libano nel caso di un'invasione da parte di Israele.

Preoccupazioni quindi che sembrerebbero sensate nonostante le rassicurazioni dei ministri Tajani e Crosetto che hanno dichiarato che incidenti come questo sarebbero all'ordine del giorno. «Non siamo mai stati minacciati, né sono mai arrivati missili in base ma capisco la posizione dei ministri Tajani e Crosetto che cercano di evitare allarmismi» commenta un ufficiale che ha preferito restare anonimo ed è stato in missione tre mesi nella base Unifil in Libano

Quindi non sono episodi frequenti?

«Quando sono stato ad aprile in missione Unifil in Libano, sono stati tirati dei missili di Hezbollah su Israele, partiti da rampe a 200 metri dalle nostre basi, senza che ci fossimo accorti di nulla. In quel caso la risposta di Israele è stata di una precisione chirurgica e dopo averci avvisato ha colpito solo le rampe da dove sono partiti i missili dove ovviamente non c'era più nessuno. Anche in quel caso Unifil ci ha chiesto di nasconderci nei bunker dove siamo rimasti quasi 18 ore, anche se in realtà saremmo dovuti intervenire a sorvegliare la Blue line. Prima di allora solo nel 2006 ci fu uno scontro violentissimo dove morirono dei militari Onu, quindi non è vero che episodi come quello di ieri sono all'ordine del giorno».

Quanti sono i militari nella base Unifil?

«Noi italiani siamo circa 1200 nella base Unifil ed il nostro contingente è a Ovest nella zona di Shama e Al Mansouri, mentre ieri il razzo di Hezbollah è arrivato sul compound indonesiano a Green Hill, quartiere della base Unifil di Naqoura, e che solo per un caso fortuito non è esploso. Era un razzo che sarebbe stato lanciato per errore ma a mio avviso potrebbe anche essere un modo per trascinare l'Onu in questa guerra e mettere sotto pressione su Israele. Si chiama asimmetria del conflitto ossia colpire obbiettivi che possano far clamore.Io sono stato impiegato in 12 missioni dal Kosovo, all'Iraq alla Bosnia, all'Afghanistan ma questa di Unifil è senza dubbio, la missione in cui mi sono sentito più vulnerabile, perché siamo facili ostaggi di due fazione in combattimento. Inoltre dalla centrale operativa dell'Onu di New York che controlla tutto in tempo reale, l'unico ordine che è sempre arrivato è di "non farci male" ed ogni operazione deve essere autorizzata anche nei casi di pericolo immediato».

In cosa consiste il vostro lavoro in Libano?

«Noi giriamo con il Cimic (Civil-Military Cooperation) nei Paesi a sud del Libano e siamo in contatto con gli SDC (Service developments center) che in pratica sono una rete di servizi creata dai libanesi che mette a disposizione della popolazione ambulatori medici e asili nido finanziati da Unifil. Oramai è una missione umanitaria, tutto è ingessato, si fa solo "show the flag", ossia atto di presenza che è comunque necessario per mantenere gli equilibri fragilissimi del Medio Oriente».

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Linda Di Benedetto