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Economia

La guerra Israele-Hamas porta nuovi guai all'economia

Petrolio, energia, mercati, materie prime. Il nuovo teatro di guerra nel mondo si aggiunge alle altre situazioni che frenano l'economia globale

Petrolio e gas innanzitutto e da qui pressione inflazionistica e inasprimento delle politiche monetarie. Ecco quanto potrebbe “costare” a Italia ed Europa la guerra scoppiata nel weekend tra Hamas e Israele. Dopo un anno e mezzo di conflitto tra Russia e Ucraina l’impatto economico è indubbio. Tanto che il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso allarmato ha parlato di una guerra “che crea una situazione di emergenza che rischia di far esplodere altre problematiche, per esempio per l'energia” E ha aggiunto: “Dobbiamo capire anche se dobbiamo pensare all'autonomia energetica del nostro Paese”. E il pensiero di tutti non può che andare al 1973, al primo shock petrolifero con la guerra dello Yom Kippur, che innescò una crisi energetica senza precedenti.

Alla riapertura dei mercati oggi, dopo la pausa del weekend, le quotazioni di petrolio e gas hanno preso il volo: +5% per l’oro nero e + 7% per il gas. Il greggio è salito anche a 89 dollari al barile e il gas ha sfiorato i 41 euro al megawattora. Tanto che si arriva a parlare di benzina a 3 euro al litro in Italia e Europa, se la guerra dovesse allargarsi ad altri Paesi del Medio Oriente e durare a lungo. E di un rincaro del 15% delle tariffe che si tradurrebbe in 314 euro in più a famiglia all’anno per le bollette di luce e gas (la stima è di Assoutenti).

Il problema non è di approvvigionamento, da Israele non ci arrivano le materie prime energetiche direttamente. Ma il problema è più politico. Innanzitutto, il ruolo dell’Iran. Se Stati Uniti ed Europa dovessero imporre sanzioni ed embarghi decisi a Teheran (accusata di aver appoggiato Hamas), ecco che il petrolio iraniano sul mercato calerebbe e quindi ci sarebbero immediate ripercussioni sui prezzi, oltre che sulle quantità. I circa 2.5 milioni di barili al giorno dell’Opec Plus inutilizzati sono inferiori alla produzione iraniana, tanto per capire il peso del Paese quando si parla di petrolio ed energia. “Un’immediata riduzione delle esportazioni di petrolio iraniano rischia di spingere i futures del Brent sopra i 100 dollari al barile nel breve termine”, scrive la Reuters citando analisti della CBA. C’è poi il fattore “incertezza”. Quando nel mondo finanziario petrolio e gas vengono percepiti come rischiosi, perché al centro di decisioni geopolitiche, ecco che comincia la speculazione e la corsa all’accaparrarsi scorte per evitare crisi future. L’abbiamo visto con la guerra Russia-Ucraina. Lo rivedremo ora? E oggi come un anno e mezzo fa c’è poi il passo successivo: l’aumento dell’inflazione sulla scia dei prodotti energetici. E a quel punto le Banche Centrali che stringono ancora le redini, i mercati in fibrillazione e lo spread che sale. E le conseguenze per i Paesi (debito pubblico) e per le famiglie (mutui, risparmi e bollette) le conosciamo bene.

La guerra in Medio Oriente ci trova sicuramente esposti, di nuovo. A livello energetico l’Europa ha livelli di dipendenza energetica che vanno dal 55% al 70%. L’Italia ha portato la dipendenza dall’83% al 77%. Eravamo legati alla Russia (abbandonata a parole dopo la guerra contro Kiev) ma restiamo agganciati al Medio Oriente e al Nord Africa. Così oggi un altro problema per Roma arriva dall’Algeria. Il principale fornitore dell’Italia di gas ora è proprio uno dei Paesi più vicino ad Hamas (sabato Algeri ha subito dichiarato piena solidarietà al popolo palestinese). Anche questa è una contraddizione che potrebbe pesare, economicamente parlando, nelle prossime settimane sulla questione energia.

La soluzione? Qualcuno dice il nucleare, qualcuno il diversificare sia sulla tecnologia sia sul dove si recuperano le risorse. Sicuramente la certezza è che dipendere dagli altri, dal punto di vista energetico, è sempre più pericoloso.

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Cristina Colli