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(Ansa)
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L'impotenza dell'Europa sulla crisi in Ucraina

Mentre le probabilità di un'invasione russa dell'Ucraina aumentano, il fronte occidentale non è compatto. E Bruxelles resta fondamentalmente irrilevante

L’Europa occidentale non è compatta sulla crisi ucraina. Se nelle scorse settimane vari Paesi hanno acconsentito a fornire armamenti a Kiev per difendersi da una tutt’altro che improbabile invasione russa, la Germania si è invece opposta. “Siamo dalla parte di Kiev. Dobbiamo fare di tutto per ridurre l'escalation. Attualmente, le consegne di armi non sarebbero utili a questo riguardo; c'è accordo su questo nel governo tedesco”, ha dichiarato pochi giorni fa il ministro della Difesa tedesco, Christine Lambrecht. Berlino ha fatto quindi sapere che rifornirà l’Ucraina esclusivamente di materiale medico. Ma la questione degli armamenti non è l’unica che divide il campo europeo. Recentemente, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha invocato un nuovo accordo di sicurezza che l’Unione europea dovrebbe negoziare direttamente con la Russia: una posizione che ha irritato i Paesi dell’Europa orientale e gli stessi Stati Uniti. E' quindi anche a causa di tale frastagliamento che Bruxelles non sembra giocare un ruolo esattamente decisivo. L’alto rappresentante degli Affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, ha espresso, sì, posizioni di sostegno a Kiev, ma di concretezza per ora se n’è vista poca.

I nodi, del resto, sono strutturali. Innanzitutto si registra uno sfilacciamento delle relazioni transatlantiche. Uno sfilacciamento che è (anche) una conseguenza della crisi afgana: lo schiaffo inferto ad agosto da Joe Biden agli alleati europei che gli chiedevano di ritardare l’evacuazione ha creato una frattura profonda, che adesso sta emergendo in tutta evidenza sul dossier ucraino. Mosca, non a caso, sta facendo leva proprio su questo. In secondo luogo, c’è un evidente problema energetico. Non è un caso che la crisi ucraina si intersechi inestricabilmente con la questione del Nord Stream 2: controverso gasdotto che è sostanzialmente alla base della riluttanza tedesca ad intraprendere azioni più energiche a favore dell’Ucraina. Il dossier energetico è del resto il secondo strumento su cui Mosca fa leva, per aumentare la pressione sull’Europa occidentale e incunearsi nelle relazioni transatlantiche. Una strategia che, al netto di comunicati e posizioni formalmente comuni da parte occidentale, si sta rivelando efficace, perché – come abbiamo visto – il fronte europeo si rivela ben lungi dall’essere compatto, con Bruxelles – in particolare – che non sembra in grado di andare oltre generici auspici diplomatici relativi ai già falliti accordi di Minsk.

Questa situazione mette in luce, una volta di più, l’estrema vulnerabilità dell’Europa occidentale in materia energetica. Un quadro che si sta complicando anche a causa del fatto che Mosca e Pechino potrebbero presto finalizzare un accordo per l’avvio del Power of Siberia 2: un gasdotto con cui la Russia rifornirebbe la Cina, utilizzando i giacimenti di gas che attualmente sono usati per approvvigionare l’Europa. E’ probabilmente anche in quest’ottica che di recente la Commissione europea si è mostrata maggiormente aperta al nucleare e al gas. E, del resto, va in questa direzione anche una relazione del Copasir che ha messo in evidenza i rischi che l’Italia corre nel dipendere energeticamente da Paesi instabili o potenzialmente ostili: una riflessione, questa, che non può non valere altresì a livello europeo. Anche perché tale vulnerabilità non riguarda soltanto dossier come quello ucraino, ma anche la crisi migratoria bielorussa esplosa lo scorso novembre. Il primo passo che gli europei dovrebbero quindi compiere è quello di ridurre le dipendenze energetiche dall’esterno, abbandonando velleitarismi ideologici e iniziando finalmente a ragionare in ottica geopolitica.

Purtroppo, per quanto auspicabile, tale svolta è al momento tutt’altro che probabile, vista la levata di scudi che si sta verificando in questi stessi giorni sul nucleare contro l’aperturismo mostrato dalla Commissione. E allora quello che si intravede all’orizzonte è un futuro senza speranza. Il futuro di un’Unione europea che continua a difettare di una politica estera comune, restando di fatto alla mercé di Paesi che, come la Russia, non aspettano altro se non metterla sotto pressione. Il che è un cortocircuito proprio per quanto riguarda la pretesa europea di condurre una strategia internazionale basata sui valori. Per perseguire e tutelare i valori hai bisogno anche di autonomia energetica. La dipendenza ti costringe invece a scendere a patti e a subire ricatti. E’ quello che purtroppo sta succedendo.

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Stefano Graziosi