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(Ansa)
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Il cortocircuito mediorientale di Biden che rompe con Israele

Il presidente americano ha minacciato di bloccare l'invio di armi a Israele in caso di un attacco completo a Rafah. E intanto l'Iran ne sta approfittando

I rapporti tra Israele e l’amministrazione Biden si stanno facendo sempre più tesi. Il presidente americano ha annunciato che bloccherà l’invio di armamenti allo Stato ebraico, nel momento in cui quest’ultimo dovesse avviare un’invasione completa di Rafah. “Ho chiarito che se entrano a Rafah - non sono ancora andati a Rafah - se entrano a Rafah, non fornirò le armi che sono state usate storicamente per affrontare Rafah, per affrontare le città”, ha dichiarato mercoledì lo stesso Joe Biden durante un’intervista alla Cnn. “Ho detto chiaramente a Bibi e al gabinetto di guerra: non otterranno il nostro sostegno se attaccano questi centri abitati”, ha aggiunto.

Dura la reazione dello Stato ebraico. “Questa è una dichiarazione difficile e molto deludente da sentire da parte di un presidente al quale siamo grati dall'inizio della guerra”, ha dichiarato il rappresentante permanente di Israele alle Nazioni Unite, Gilad Erdan. Critiche a Biden sono arrivate anche da vari parlamentari israeliani, mentre – secondo il Times of Israel – un funzionario dello Stato ebraico avrebbe riferito che “la decisione degli Stati Uniti di trattenere le armi a Israele per i suoi piani di attacco a Rafah potrebbe costringere Israele a modificare i suoi piani operativi”.

L’annuncio di Biden ha spaccato anche la politica interna americana. I repubblicani sono infatti andati all’attacco del presidente. “Il disonesto Joe Biden, che lo sappia o meno, ha appena dichiarato che non fornirà armi a Israele mentre combatte per sradicare i terroristi di Hamas a Gaza”, ha tuonato Donald Trump. “Hamas ha ucciso migliaia di civili innocenti, compresi i bambini, e tiene ancora in ostaggio gli americani, se gli ostaggi sono ancora vivi”, ha proseguito. “Eppure, il disonesto Joe si schiera dalla parte di questi terroristi, così come si è schierato dalla parte delle folle radicali che si stanno impadronendo dei nostri campus universitari, perché i suoi finanziatori le finanziano”, ha continuato, invocando il principio reaganiano della “pace attraverso la forza”.

In attesa di ulteriori sviluppi, quanto emerge è nuovamente l’irresolutezza dell’amministrazione Biden. La questione è infatti a monte. Per favorire un accordo di tregua, è prima necessario creare le condizioni concrete nel cui ambito tale accordo possa eventualmente essere concluso. Ed è qui che sta l’errore dell’attuale Casa Bianca. In questi mesi di crisi mediorientale, Biden ha continuato a mantenere un approccio particolarmente blando e arrendevole nei confronti dell’Iran: quello stesso Iran che, ricordiamolo, è a sua volta il principale finanziatore di Hamas ed Hezbollah. È pur vero che il presidente americano ha recentemente imposto qualche sanzione a Teheran. Tuttavia si è ben guardato dal riesumare la politica della “massima pressione” sul regime khomeinista, che era stata introdotta dall’amministrazione Trump.

Non solo. Appena due settimane fa, il Dipartimento di Stato americano si è rifiutato di smentire che Biden stia ancora tenendo dei colloqui indiretti con gli ayatollah per cercare di ripristinare il controverso accordo sul nucleare iraniano. Guarda caso, poche ore fa, un consigliere di Ali Khamenei, Kamal Kharrazi, ha affermato: “Non abbiamo deciso sulla realizzazione di una bomba nucleare, ma se l'esistenza dell'Iran fosse minacciata, non ci sarà altra scelta che cambiare la nostra dottrina militare”. È chiaro che, se avesse ripristinato la “massima pressione” su Teheran, Biden avrebbe innanzitutto rassicurato i sauditi e, in secondo luogo, avrebbe avuto maggiore potere contrattuale per spingere Benjamin Netanyahu a ridurre la pressione militare israeliana su Gaza. Questo perché la “massima pressione” su Teheran avrebbe indirettamente indebolito il network regionale iraniano, a partire proprio da Hamas. Tuttavia il presidente americano si trova con le mani legate, perché, rispolverando la linea del predecessore, dovrebbe ammettere di aver sbagliato tutto in Medio Oriente nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali di novembre. Tra l'altro, proprio guardando alle presidenziali, l'inquilino della Casa Bianca spera di potersi accattivare le simpatie dell'ala filopalestinese del Partito democratico. Si tratta tuttavia di una pia illusione: quel mondo è collocato spesso su posizioni radicali, oltre che visceralmente anti-israeliane, e continuerà a pretendere azioni sempre più dure nei confronti dello Stato ebraico.

Il risultato è che, per l’ennesima volta, Biden trasmette al mondo un’immagine di contraddittorietà. Da una parte, ha appena firmato un pacchetto per nuovi aiuti militari a Israele. Dall’altra, il presidente americano minaccia di bloccare l’invio di armamenti allo Stato ebraico. Una simile contraddittorietà danneggia la credibilità internazionale di Washington, azzoppandone soprattutto la capacità di deterrenza nei confronti dell’Iran. Un cerchiobottismo, quello di Biden, che non porterà la pace in Medio Oriente e che spingerà soltanto gli ayatollah a farsi più protervi. Con grande gioia, neanche a dirlo, di Russia e Cina.

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Stefano Graziosi