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Calcio

Agnelli, l'Atalanta e la nuova idea di calcio europeo

Una frase del numero uno della Juventus e dell'Eca fa arrabbiare i tifosi bergamaschi. Ma era diretta a immaginare coppe con accesso per più campionati...

Una frase pronunciata da Andrea Agnelli a Londra, intervenendo al Business of Football Summit organizzato dal Financial Times, ha fatto infuriare i tifosi dell'Atalanta e tutti i sostenitori delle coppe europee aperte con un sistema lontano da quello della spesso (a sproposito) evocata Superlega o di una super Champions in cui le big del Vecchio Continente partecipino automaticamente dal 2024. Un incendio che ha attraversato la rete senza, però, cogliere a pieno apertura e significato di un discorso che preannuncia l'inizio di una nuova fase nel processo di costruzione del futuro calendario calcistico europeo, con sul tavolo i format delle competizioni, la torta economica da dividere e il tentativo di preservare l'equilibrio competitivo del football europeo.

Le parole di Agnelli che hanno incendiato il dibattito sono state queste: «Si può discutere sul fatto che solo perché sei in un grande Paese devi avere accesso automatico alle competizioni. Ho grande rispetto per quello che sta facendo l'Atalanta, ma senza storia internazionale e con una grande prestazione sportiva ha avuto accesso diretto alla massima competizione europea per club. È giusto o no? Poi penso alla Roma che ha contribuito negli ultimi anni a mantenere il ranking dell'Italia, ha avuto una brutta stagione ed è fuori, con quello che ne consegue a livello economico. Bisogna anche proteggere gli investimenti e i costi».

Dunque l'idea di calcio del presidente dell'Eca (associazione che rappresenta i maggiori club europei) è che belle storie come quella dell'Atalanta debbano sparire in futuro per lasciar spazio al peso economico dei club? No. Anzi. Da Londra il messaggio che arriva è esattamente contrario e racconta per la prima volta in maniera ufficiale di un dialogo ricominciato tra chi guida le multinazionali del pallone e la maggioranza meno ricca che negli ultimi mesi si è opposta alla riforma dei format, temendo di essere esclusa dal grande palcoscenico di una Champions League sempre più attrattiva dal punto di vista finanziario.

Agnelli ha raccontato di aver ripreso il confronto con Javier Tebas, numero uno della Liga e portabandiera del no alla Superlega, Christian Seifert e Richard Masters, rispettivamente capi di Bundesliga e Premier League. Non più muro contro muro ma il tentativo di fare sintesi e arrivare a una soluzione condivisa nella quale si tenga conto di tanti fattori. Uno è il mercato e la necessità di chi investe (club e broadcaster) di poter avere qualche certezza nel medio periodo a proposito della resa dei propri investimenti. L'altro è la tanto richiamata meritocrazia.

Non un attacco all'Atalanta e alle Atalanta che ci sono in giro per l'Europa, ma una considerazione fatta ad alta voce per ragionare (mettere in discussione?) l'attuale sistema nel quale la quarta di un campionato di un grande Paese entra direttamente in Champions League e chi ha storia europea, è campione nella sua nazione e ha la sfortuna di uscire da un preliminare rischia di restare fuori. Quello che è successo all'Ajax, passata dalla semifinale di Champions all'Europa League. Qual è il modello più giusto, il punto d'equilibrio tra affari e merito sportivo? A Londra si è avuto uno spaccato del dibattito riaccesosi sulla strada dei nuovi format delle competizioni che dal 2024 disegneranno un panorama nuovo. La notizia non è che i big non vogliono l'Atalanta, ma che forse sono pronti a immaginare di non lasciare per strada le Ajax (e non solo) di turno.

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Giovanni Capuano