strage capaci
(Ansa)
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Attentato a Giovanni F​alcone: ora via gli incapaci

La Rubrica - Come Eravamo

Dallo Speciale Panorama sulle stragi a Falcone e Borsellino del 2 agosto 1992

"E' finito tutto". Il volto scavato, la mano ossuta protesa come in una tragedia greca, gli occhi spenti dal dolore: di fronte al mattatoio di via D'Amelio, l'anziano consigliere istruttore Antonio Caponnetto ha pronunciato la sua sentenza. All'uomo che aveva messo in piedi il pool antimafia sono occorse tre parole per dire ciò che gli italiani pensano e lo Stato si ostina a negare. Tutto è finito. Tutto deve ricominciare da capo. Ammazzando Falcone e Borsellino la mafia ha cancellato un patrimonio inestimabile di conoscenze e di capacità investigativa. Forse non ha vinto la guerra, ma ha stravinto una battaglia campale. Adesso arrivano leggi d'emergenza. Plotoni di mafiosi finiscono su isole deserte. Ma l'ondata di rigore non illuda: ci vorranno anni per ristabilire il dominio della legge nelle regioni dove lo Stato ha colpevolmente abdicato al proprio ruolo.

Per la seconda volta in due mesi, Panorama si ritrova a fare un numero speciale su un amico della legge e di questo giornale che se ne va. Non ci uniamo al coro delle commemorazioni. Ciò che Borsellino rappresentava resta nella dignità del discorso inedito che pubblichiamo a pagina 20. E nelle testimonianze che abbiamo raccolto cercando di andare oltre la cruda cronaca. Enzo Biagi intervista il superpentito Tommaso Buscetta. Antonio Carlucci spiega la strategia dell'orrore inaugurata dalla mafia. Michele Santoro ritrova, sulla piazza di Panorama, lo spirito di Samarcanda. Giuseppe Ayala e Pasquale Barreca mostrano i due volti della magistratura siciliana. Enzo Scotti riconosce la debolezza della classe politica.

Luca Rossi racconta in presa diretta lo strazio della famiglia Borsellino. I commenti di Napoleone Colajanni, Giorgio Galli, Vittorio Grevi, Emanuele Macaluso e tanti altri servizi completano il resoconto di questa tragedia italiana. Di fronte a uno Stato che fra stragi, tangenti e conti in rosso mette in scena ogni giorno la sua debolezza, il nostro sentimento è simile a quello di milioni d'italiani: la commozione e il dolore hanno lasciato posto all' ira. Certamente è incivile e vergognoso prendersela con Scalfaro e Amato, o cercare di colpire Parisi. Ma, fatta la tara alle provocazioni, il messaggio che viene da Palermo è inequivoco: lo Stato deve rompere la catena di omertà, complicità, indolenza, connivenza, egoismo e plateale stupidità che ci ha condotto alla disfatta di oggi.

Un modo per cominciare c'è, ed è più efficace di ogni legge speciale. Chi ha sbagliato, dia prova di dignità e si dimetta. Falcone era un obiettivo imprevedibile? Borsellino non era forse un bersaglio ambulante? Che cosa si è fatto per sbattere i mafiosi in galera e per impedire che quelli a piede libero si muovessero non come pesci, ma come corazzate, nell' acqua siciliana? Ci sono persone che dovrebbero dare una risposta e non possono darla perché, al di là della probità individuale (che non è in discussione) hanno fallito nel loro compito: dal prefetto di Palermo Jovine all'ineffabile commissario antimafia Finocchiaro, al procuratore capo Giammanco. I capi delle forze di sicurezza e dei servizi segreti, nonostante gli sforzi, vantano pochissime vittorie su un nemico che li incalza, colpendo quando e dove vuole. E che dire dei membri del Csm che ancora non ci hanno spiegato le promozioni per anzianità, il rifiuto degli spostamenti, la copertura dei Carnevale e dei Barreca, gli arroccamenti corporativi?

Quanto ai ministri passati e presenti, il giudizio non può essere assolutorio, ma resta forzatamente sospeso. Nicola Mancino è troppo fresco di nomina per portare qualche responsabilità, sebbene si sia segnalato per un primo discorso in Parlamento piuttosto burocratico. Il suo predecessore, Scotti, e Claudio Martelli erano tra i sostenitori di Falcone e Borsellino. Hanno varato un decreto sacrosanto che porta il loro nome. Ma non possono certo dire di aver sistemato le cose tra i propri sottoposti. Rimuovendo il questore di Palermo, il nuovo governo ha dato un segno. Ma non basta. Nella lotta alla criminalità dovrà far largo a molti uomini nuovi. O a quei vecchi, come Caponnetto, che ieri hanno combattuto la mafia e oggi trovano il coraggio di meditare sulla sconfitta dello Stato. Per poi riprendere a combatterla.

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Giuliano Ferrara