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Attentati in Costa d’Avorio: perché gli islamisti attaccano l’Africa

I resort vulnerabili e pieni di "miscredenti", le rivalità fra al Qaeda e l’Isis e la propaganda contro il colonialismo

L’attacco del 13 marzo agli alberghi di Grand Bassam, cittadina costiera della Costa d’Avorio — rivendicato da al-Qaida in the Islamic Maghreb (Aqim) —  ha ancora una volta mostrato l’attenzione delle forze della Jihad per la destabilizzazione dell’Africa, ben oltre il Maghreb e la costa mediterranea.

Basta ricordare — solo fra i più recenti — gli attacchi a luoghi frequentati da occidentali del 15 gennaio a Ouagadougou nel Burkina Faso e in novembre al Radisson Blue di Bamako, capitale del Mali, oltre a quelli nei luoghi del turismo di Egitto e Tunisia.
Ma in questo quadro rientrano le azioni di Boko Haram — affiliata all’Isis — in Nigeria e i ripetuti attacchi di al-Shabaab in Somalia.

Internazionale islamista e divisioni politiche, religiose e tribali locali

Si tratta indubbiamente di operazioni che dimostrano la presa delle varie organizzazioni jihadiste, di fatto “federate”, che guardano al quadro internazionale ma che sfruttano le debolezze e le caratteristiche delle società locali e le divisioni politiche, che nel caso della Costa d’Avorio, hanno portato a una lunga e sanguinosa guerra civile durata dal 2011 al 2015.

Contro la Francia e il colonialismo

In particolare, come nota Alberto Stabile su La Stampa del 14 marzo, l’attacco in Costa d’Avorio ha portato la sfida nel punto nevralgico dell’Africa dove maggiori sono gli interessi della Francia.
Un legame con il continente che Parigi ha cercato in tutti i modi di difendere, al punto da intervenire in Mali nel dicembre del 2012 e di lanciare l’operazione Barkhane nel Sahel, nell’agosto del 2014 per arginare la penetrazione dei Jihadisti a sud, che si sono aggiunte alla presenza militare in Ciad.

Operazioni militari che sicuramente hanno franto e danneggiato l’Islam radicale in Africa ma hanno, d’altra parte, offerto armi alla propaganda dell’Isis e di al Qaeda e alla loro narrazione -del tutto interessata e distorta a proprio favore- contro il colonialismo e il razzismo dell’Europa nei confronti delle popolazioni africane. Stabile ci ricorda infatti che i Jihadisti presentano l’Islam come l’unica religione non razzista che vuole liberare le popolazioni di colore dal dominio europeo.

Spesso in occidente ci si dimentica di quanto sia pesante per l’Africa il ricordo del passato coloniale. E la nostra concezione del passato e del tempo che scorre viene ignorata e osteggiata dai militanti islamici, che vivono in una sorta di presente-passato sempre contemporaneo.

Rivalità fra Isis e al Qaeda

Un altro aspetto da considerare nel guardare a questi attacchi islamisti in Africa, è la crescente rivalità fra l’Isis e alleati e al-Qaeda con i propri.
Entrambi i poli hanno intensificato le attività terroristiche per estendere e rafforzare la propria influenza a sud del Maghreb. 

In particolare, l’attivismo di Aqmi, che aveva colpito in Burkina Faso in gennaio, si spiega con la crescente spinta egemonica dell’Isis che rischiava di mandare definitivamente al Qaeda nell’ombra.

In parte quindi questi attacchi sono anche usati per regolare i conti dentro la cornice islamista.

Immorali e vulnerabili

Infine, gli alberghi frequentati dagli occidentali in Africa hanno il duplice vantaggio, per i militanti jihadisti, di essere vulnerabili e simboli di empietà.

Sono frequentati da esseri immorali, miscredenti, rappresentanti dell’alleanza fra Crociati e Sionisti — come si legge spesso nei documenti degli islamisti — e da locali che vivono come se fossero occidentali e al loro servizio: bersagli perfetti e da usare nella comunicazione-propaganda per reclutare nuovi militanti.

Inoltre, questi luoghi di vacanza sono assai più facile da prendere di mira —  sia per la logistica che per il livello di protezione che le autorità locali riescono a garantire — di qualsiasi altro bersaglio in una delle città d’Europa.

[Reuters, The Guardian, La Stampa]

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Luigi Gavazzi