Pearl Jam, Dark Matter: un passo avanti e uno indietro
Monkeywrench/Republic Records
Musica

Pearl Jam, Dark Matter: un passo avanti e uno indietro

Potevano fare un disco irrilevante e invece ne hanno fatto uno molto bello. Che guarda al passato per avere un futuro...

Che cosa fanno cinque musicisti ispirati con oltre trent'anni di musica alle spalle nelle stanze degli Shangri-La Studios di Malibu? Tante cose. Innanzitutto suonano insieme e producono un disco vero. Come Dark Matter. Esattamente quello di cui i Pearl Jam avevano bisogno perché quando si annoverano nella discografia una manciata di album diventati classici del rock il rischio è che i nuovi dischi risultino irrilevanti. E, allora, meglio guardare indietro, agli inizi di tutto. Senza replicare banalmente, ma tenendo doverosamente conto delle radici.

Dark Matter irrilevante non lo è. Per la qualità dei brani e della produzione affidata a Andrew Watt, lo stesso che ha rimesso in pista i Rolling Stones nel recente Hackney Diamonds. L'energia c'è, le buone vibrazioni anche e lo spirito di gruppo pure. Certo, i Pearl Jam sono testimoni di un modo di fare musica e di essere band che non esiste quasi più, sono brillante testimonianza di un passato glorioso che adesso diventa un presente più che dignitoso . Basta l'iniziale e devastante Scared Of Fear per comprendere che il gruppo ha ripreso in mano il proprio sound senza se e senza ma. Non meno potente React, Respond, attraversata da un bel groove, accompagnato da una sana furia chitarristica e ritmica. E poi c'è Wreckage, puro american sound con reminiscenze di Tom Petty con gli Heartbreakers. Emozionalmente potente anche Waiting For Stevie, un po' di grunge e un pizzico di R.E.M. in uno dei pezzi meglio riusciti dell'intero disco.

Niente male l'approccio sperimentale di una canzone cangiante come Upper Hand, tra suoni psichedelici e noise nella prima parte e una discreta vena melodica nella seconda. Intricata e intrigante. Tra le cose migliori, la conclusiva Setting Sun, un gran pezzo a base di chitarra acustica, percussioni e basso. In definitiva, la prova di una band che non incide per inerzia, ma perché ha ancora qualcosa da dire.

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Gianni Poglio