Caso Ablyazov, perché Procaccini ha ricevuto l'ambasciatore?
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Caso Ablyazov, perché Procaccini ha ricevuto l'ambasciatore?

Il cortocircuito politico-burocratico nel caso kazako secondo Christoper Hein, presidente del Cir (Consiglio Italiano per i rifugiati) sul caso Ablyazov

“Le responsabilità politiche le lascio al paralamento. Tuttavia è inusuale, e qui Giuseppe Procaccini ha sbagliato, che un capo di gabinetto del Viminale si faccia carico delle richieste di un ambasciatore. Da subito Procaccini avrebbe dovuto fermare l’ambasciatore kazako e dirgli che qualsiasi richiesta andava girata al Ministero degli Esteri”.

Falle burocratiche e istituzionali, azioni inusuali da parte dei funzionari. “Qualcosa è andata oltre la legge”, può solo dire Christopher Hein che non è solo il fondatore del Cir, il Consiglio Italiano per i rifugiati, ma uno dei più profondi conoscitori internazionali per i diritti dei rifugiati. Esperto Onu per l’Alto commissariato per i Rifugiati (Unchr), da funzionario è stato in Pakistan, America Centrale, Grecia, docente presso l’università di Roma, Madrid per le politiche e la protezione dei rifugiati e presidente dell’Ecre, il consiglio europeo dei rifugiati.

“Dal primo momento in cui siamo venuti a conoscenza del caso Ablayzov, che ha portato all’espulsione della moglie Alma Shalabayeva e della figlia, non abbiamo fatto che notare la velocità con cui è stata condotta l’intera operazione. Una forza di quaranta uomini è poco spiegabile, così come l’utilizzo di un aereo privato piuttosto che di un aereo di linea”. Difficile per Hein che dalla Farnesina non si sapesse nulla dell’identità di Ablayzov: “È increscioso anche perché i rifugiati del Kazakhstan sono pochissimi. Sembra stucchevole dirlo, ma per giorni non fare una stupida ricerca sul web è imbarazzante”. Altro nodo rimane la velocità dell’espulsione. “La legge prevede due modalità per procedere alle espulsioni. Cominciamo dalla prima. Quando viene intercettato un irregolare che non presenta il pericolo di fuga, si procede con un decreto di espulsione. In pratica viene intimato di allontanarsi entro 15 giorni. Nel caso in cui ci sono oggettivi rischi di fuga (il caso Shalabayeva è stato dichiarato uno di questi), il clandestino viene condotto nei Cie (Centro di identificazione ed espulsione). Ma nel caso della Shalabayeva dov’era il rischio di fuga? La figlia andava perfino a scuola qui a Roma”.

Una procedura, quest’ultima, che per Hein prevede non meno di 20, 30 giorni per procedere con l’espulsione. “Quando il clandestino viene inserito in un Cie e ha un documento che ne certifichi l’identità, si procede con uno scambio d’informazioni che intercorre tra consolati. Inoltre lo stato di detenzione va convalidato da un giudice (nel caso Shalabayeva è stato fatto) così come il decreto di espulsione (anche questo convalidato dalla procura)”. Altri Ablayzov in Italia? “Di questi casi finora non abbiamo notizie. Di solito si parla di respingimenti alla frontiere con grande velocità. E di questi casi se ne sono verificati molti. Ma espulsioni no. Certo è, che un funzionario come Procaccini  - Hein parla in questo caso anche da ex funzionario – mai avrebbe dovuto ricevere e far sue le pressioni dell’ambasciatore kazako. Un ambasciatore non si reca in questura e poi da un funzionario del Viminale per accelerare la cattura di un latitante straniero. Procaccini doveva saperlo che in ogni caso l’ambasciatore doveva prima rivolgersi alla Farnesina. Sarebbe poi stata la Farnesina a chiamare il Viminale. Così come è un obbligo della Pubblica Sicurezza accertarsi, prima di procedere con qualsiasi espulsione, delle reali condizioni in cui versa il paese in cui si accinge ad essere trasferito l’espulso. La Questura prima di rimpatriare la Shalabayeva avrebbe dovuto conoscere, accertarsi sulle conseguenze dell’espulsione, cosa che non è stata fatta, anzi favorita con un aereo privato e non di linea. Ennesimo cortocircuito”

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