federico buffa
(Filippo Alfero, Getty Images)
Televisione

Le ore di lezione (scolastiche) di Federico Buffa

Ecco perché i racconti tra sport, storia e cultura del miglior narratore italiano andrebbero mostrati ai ragazzi a scuola

Federico Buffa è il migliore. Semplicemente. Il miglior narratore di storie di sport che la televisione italiana possa mettere in vetrina. E le sue storie sono un prodotto che andrebbe mostrato nelle scuole, anche sacrificando qualche ora di attività fisica. Non perché una corsa in palestra non abbia valore, anzi, ma perché lo sport rappresenta per il tessuto sociale e culturale italiano molto più di un semplice passatempo. Ne è parte integrante, qualcosa che con grande superficialità si è pensato di poter cancellare nei mesi della pandemia, facendo finta di non sapere (o non capire) che quello sui si chiedeva di rinunciare a milioni di italiani non era solo uno sfizio ma un pezzo importante della propria identità.

Di quel legame indissolubile che lega lo sport al suo passato e alle sue storie Federico Buffa è il cantore per eccellenza. Lo favorisce l'eloquio, la presenza scenica e la storia professionale di chi non ha avuto quasi contaminazione con le minutaglie della cronaca spicciola che, nel caso del bar sport perennemente aperto che ruota intorno al nostro pallone significa essersi calati nella trincea della polemica di bottega. E il filo che tiene insieme lo sport e il suo racconto è la memoria e la capacità di evocarla attraverso la narrazione. Non è un caso che le storie di Buffa, che su Sky Sport ha trovato la casa ideale in cui crescere e sviluppare il genere, piacciano molto soprattutto a chi comincia ad avere diverse stagioni della vita sulle spalle. Anche se i responsabili dell'emittente garantiscono che anche la fascia giovane le apprezza e le cerca sempre più, aiutata da quel palinsesto parallelo e orizzontale rappresentato ormai dalla possibilità di accedere a format e programmi senza seguire il flusso della tradizionale programmazione televisiva.

La storia del Natale 2020 di Federico Buffa sarà dedicata a Pelè, o'Rey, la perla nera della storia del calcio mondiale. Va in onda nell'inverno che ha portato via Diego Armando Maradona e Paolo Rossi, due simboli oltre che miti, due vicende che hanno squadernato in maniera plastica perché il calcio (lo sport) siano così importanti nel processo identitario di una comunità. Dentro 'Pelè, O Rey' ci sarà tutto: immagini inedite, musica, racconto teatrale. Ci sarà anche un importante lavoro di restauro di alcuni spezzoni televisivi di cui si sta cercando di non perdere traccia e memoria, un po' come si fa con i grandi film del Novecento, quei capolavori che sono capostipite di tutto ciò che è venuto dopo allo stesso modo in cui lo sono stati Pelè, Maradona, Di Stefano e pochi altri con il pallone tra i piedi.

Si potrebbe dire che Federico e Buffa (e Sky) assolvano a un compito da servizio pubblico con le loro storie e che abbiano raccolto il testimone che la Rai ha lasciato con la stagione di 'Sfide' per rielaboralo in un nuovo linguaggio. Di sicuro investono molto (tra diritti d'immagine e produzione che impegna per mesi il gruppo di lavoro) assumendosi un grande rischio: mettere insieme diverse generazioni, trovare il modo di raccontare a pubblici diversi la stessa storia. Il pubblico di chi ha visto dal vivo, nostalgico, e quello che si affaccia oggi alla magia dello sport, abituato a consumarlo in maniera frammentata, sincopata, veloce. Digerito quando è ancora cronaca, non ancora storia e tantomeno leggenda. Buffa e le storie di Sky sono questa sfida. Impegnativa, a volte impossibile.

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Giovanni Capuano