Usa, Obama e le sei mosse vincenti per l'economia
Economia

Usa, Obama e le sei mosse vincenti per l'economia

L'agenzia di rating Moody's minaccia di bocciare il rating americano se non verrà ridotto il debito. A poche settimane dal voto, le decisioni e i risultati ottenuti dal presidente passano ai raggi X. E non è tutto così negativo

Ora le agenzie di rating tentano di colpire anche l'America. O meglio, il presidente Barack Obama. È arrivata oggi la minaccia di Moody's: il rating degli Usa potrebbe essere ridotto da AAA ad Aa1 nel caso in cui il debito pubblico non venisse ridotto.

Eppure, anche questa volta, i mercati sembrano non prestare il fianco alle parole dell'agenzia. Wall Street oggi ha aperto in leggero rialzo. E del resto è un fatto (e investitori ed economisti lo sanno) che quando Barack Obama è stato eletto, ha ereditato un'economia a pezzi e un deficit di bilancio pari al 10% del pil, il più alto nella storia degli Stati Uniti in periodo di pace. Sette settimane prima, c’era stato il crack di Lehman Brothers. A seguire, il salvataggio di Aig, Bank of America e Citigroup. Oggi, con la benzina a 3,82 dollari al gallone (erano 1,60 tre anni fa), è difficile per gli americani credere che le cose stiano andando per il verso giusto.

Ma, come ha detto, l’ex presidente Bill Clinton nel suo discorso della scorsa settimana alla convention democratica, Obama “ha messo una rete di protezione sotto al sistema. Ha iniziato a percorrere la lunga via verso la ripresa. Ha messo le fondamenta per un’economia più moderna ed equilibrata che porterà a nuovi posti di lavoro, nuovi business e ricchezza per gli innovatori”. Morale: gli Stati Uniti non sono ancora dove vorrebbero essere, ma sono in condizioni migliori di quando Obama è stato eletto.

Tutto vero? Alcune testate, come The Economist , hanno passato in rassegna le sei scelte del presidente e del suo team.

LE BANCHE. La strategia di George Bush è stata quella di sifonare contante nelle banche in difficoltà. Obama ha scelto di verificare l’effettiva disponibilità di capitale delle banche attraverso una serie di “stress test”. I test, rigorosi e trasparenti, hanno dato ragione alla strategia. E, non solo hanno dimostrato agli investitori che le banche non hanno più nulla da nascondere, ma hanno permesso alle banche di avere più liquidità che nel periodo pre-crisi. La maggior parte dei prestiti finanziati dal Tarp, il Troubled Asset Relief Program, sono stati ripianati con relativo introito per il Governo.

L'INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA. Nel 2009, nessun investitore avrebbe scommesso su General Motors e Chrysler. La bancarotta avrebbe significato la liquidazione, con un effetto a catena devastante sul fronte dell’occupazione e dell’indotto. La soluzione di Obama è stata obbligare le due aziende all’amministrazione controllata in “cambio” del finanziamento per la riorganizzazione, a condizione che sarebbero stati eliminati i rami morti, lavoratori compresi. In pochi mesi, entrambe le case automobilistiche si sono risollevate, anche se il Governo, con ogni probabilità ci avrà rimesso.

IL MERCATO IMMOBILIARE. All’inizio del 2009, il 9% dei mutui per le case era avariato, per un totale di 900 miliardi di dollari. L’obiettivo di rinegoziare 7-9 milioni di mutui non è stato raggiunto e solo 2,3 milioni di contratti sono stati modificati o rifinanziati sotto il programma dell’amministrazione Obama. L’errore, secondo alcuni osservatori, è stato un eccesso di prudenza nel mettere a disposizione le risorse necessarie a risollevare il settore. E a oggi, il prezzo degli immobili, pur con le positive variazioni degli ultimi mesi, continua a essere intrappolato al livello del 2003.

IL FISCO. Lo stimolo da 800 miliardi di dollari lanciato sotto l’American Recovery and Reinvestment Act ha, secondo alcuni analisti, avuto il merito di salvare 3,4 milioni di posti di lavoro. Un terzo della cifra investita è andato in tagli alle tasse, mentre la maggior parte è stata trasferita ai cittadini sotto forma di tagliandi alimentari, sussidi di disoccupazione e welfare come Medicaid. Per quanto la cifra stanziata fosse inferiore a quanto inizialmente richiesto dagli advisor del presidente, si tratta della cifra più alta mai approvata dal Congresso.

POLITICA INDUSTRIALE. Come aveva promesso, Obama ha dato la precedenza alle energie rinnovabili che hanno beneficiato di 90 miliardi di dollari di finanziamenti. Otto miliardi sono stati destinati all’alta velocità. I risultati, però, non sono stati all’altezza delle aspettative: i produttori di pannelli solari, per esempio, devono fare i conti con la concorrenza cinese, le ferrovie del futuro sono state messe in un angolo dalle compagnie low cost e dalla copertura della rete autostradale e la produzione di batterie per auto elettriche sconta i ritardi dell’industria automobilistica nella produzione di vetture elettriche.

LA DISOCCUPAZIONE. Il picco della perdita di posti di lavoro è stato toccato all’inizio del 2009. Nel 2010, l’occupazione ha cominciato a riprendere quota, per registrare nuovamente un calo in estate, un trend rivisto negli anni successivi. Adesso, la disoccupazione si attesta sull’8,1%. Ma il numero non dice tutto. La forza lavoro degli Stati Uniti, infatti, si è assottigliata fino a toccare i minimi dagli anni Ottanta. Il Dipartimento del Lavoro considera come parte della forza lavoro solo chi, nelle ultime quattro settimane, ha avuto un lavoro o lo ha cercato. Ma ci sono 86 milioni di americani che non hanno un lavoro e non lo cercano. Se queste persone si mettessero a cercare un lavoro, la disoccupazione supererebbe l’11%.

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Stefania Medetti

Sociologa e giornalista, ho barattato la quotidianità di Milano per il frenetico divenire dell'Asia. Mi piace conoscere il dietro le quinte, individuare relazioni, interpretare i segnali, captare fenomeni nascenti. È per tutte queste ragioni che oggi faccio quello che molte persone faranno in futuro, cioè usare la tecnologia per lavorare e vivere in qualsiasi angolo del villaggio globale. Immersa in un'estate perenne, mi occupo di economia, tecnologia, bellezza e società. And the world is my home.

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