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Economia

Smart working, la rivoluzione tradita

L'Italia rimane indietro nella corsa al lavoro agile, anche se ci sono esempi virtuosi. Eppure gli studi dicono che lontani dal proprio luogo di lavoro la produttività cresce

Nei giorni scorsi si è parlato dell’ultima decisione della società automobilistica, Lamborghini che ha raggiunto un accordo con i sindacati per introdurre la settimana lavorativa corta, di 33 ore e mezzo e la possibilità di smart working fino a 12 giorni al mese. Accanto a ciò sono state inoltre previste numerose agevolazioni, come ad esempio, corsi di fitness, l’alimentazione e il sostegno alla genitorialità con banche ore solidale. Insomma, una vera e propria rivoluzione, in Italia, se si pensa che da dopo la pandemia diverse aziende al posto che andare avanti nei modelli organizzativi sono tornati al passato.

Le nostre realtà sono così ancora ad un modo “antico” di lavorare che si percepisce la decisione della Lamborghini come una “novità” assoluta. Fondamentalmente altro non è stato fatto, che cercare di inserire maggiore flessibilità nell’attuale modello organizzativo. In Germania 50 aziende, a partire da febbraio 2024, sperimenteranno la settimana corta lavorativa per sei mesi. Per non parlare del fatto che, a differenza di noi, lo smart working è ormai parte integrante della cultura lavorativa del Paese e si prevede che continuerà a svilupparsi in futuro, anche con l’adozione di modelli ibridi.

In Italia la maggior parte delle nostre aziende vede la richiesta di smart working, da parte dei lavoratori, come un capriccio; e da dopo la pandemia stanno cercando tutti i modi per scoraggiarlo. Gli ultimi dati dell’Osservatorio del Politecnico hanno evidenziato come dopo i picchi che si sono registrati durante il Covid c’è stata una graduale riduzione negli ultimi due anni. Molte aziende stanno incentivando i lavoratori a recarsi in ufficio, così i responsabili vedendoli seduti dietro le scrivanie a digitare tasti sul computer, sono sicuri che i loro sottoposti stiano lavorando.

In molte realtà le aziende ti dicono, in modo esplicito, che non potrai mai fare carriera facendo lo smart working (il motivo non è ben specificato), oppure che se fai smart working non avrai i buoni pasto (è risaputo che quando si lavora da remoto non si mangia!), o, introducendo il telelavoro, che di smart non ha nulla, visto che si deve garantire la reperibilità dalle 8 alle 17, esclusa un’ora di pausa pranzo. E dunque, quando si sa che un’azienda come Lamborghini, sta addirittura osando mettere in campo la settimana corta si urla all’innovazione.

La verità è che il Covid non ha insegnato nulla. La pandemia ha portato tanta sofferenza e sacrifici, ma una cosa buona l’ha fatta: far scoprire un nuovo modo di lavorare. I dati dell’Osservatorio del Politecnico indicano che l’incremento di produttività per un lavoratore derivante dall’adozione di un modello “maturo” di smart working sale dal 15 al 20%. E che l’impatto dello smart working a livello di sistema Paese, considerando che i lavoratori che potrebbero attuare questa modalità lavorativa sono circa 6 milioni (pressappoco il 22% del totale degli occupati) e ipotizzando che la pervasività dello smart working possa arrivare al 70% dei lavoratori potenziali, l’effetto dell’incremento della produttività media del lavoro in Italia si può stimare intorno ai 13,7 miliardi di euro.

Vantaggi che però implicano una revisione a 360° della propria organizzazione aziendale. Significa iniziare a lavorare per obiettivi e addestrare i manager ad agire di conseguenza. Anche perché, a differenza di quello che si pensa, attuare un modello di smart working reale significa concedere alle persone di poter andare dal dentista, durante l’orario di lavoro, senza mentire o prendersi permessi e nel mentre pretendere che quel determinato obiettivo si raggiunga entro la data stabilita. Significa dare maggiore flessibilità e cambiare la mentalità lavorativa.

Non si deve pensare che questo porti però ad un’assenza di controllo. Il dipendente viene infatti monitorato in base agli obiettivi che rispetta e non in base a quanti giorni al mese si reca in azienda. Non è certo un facile passaggio, anche perché richiede una flessibilità mentale, a livello di dirigenza, non adatta a tutti. Quelle poche aziende che però stanno cercando di guardare al futuro, sperimentando la settimana corta o una maggiore flessibilità lavorativa, in qualsiasi modo la si vuole mettere in campo, si troveranno sicuramente più avvantaggiante nell’immediato futuro. Ci sono infatti diversi studi che mostrano come il 50% degli appartenenti alla Gen Z (le nuove leve del lavoro) hanno come ambizione aprirsi una partita Iva e lavorare da autonomi. Dato interessante se si pensa che attualmente molte aziende fanno fatica a trovare dipendenti: a settembre 2023 le imprese cercavano 531 mila lavoratori, più 7 mila rispetto all’anno scorso, secondo il bollettino del sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere con Anpal.

La situazione è dunque destinata a peggiorare dato che da una parte ci sono società che non ne vogliono sapere di innovare e dall’altra una generazione, immersa nel digitale, che ama la libertà e che ha poca intenzione di lavorare come dipendente. Come si pensa dunque di poter convincere una persona che ha queste attitudini se non si è nemmeno in grado di garantire uno smart working?

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Giorgia Pacione Di Bello