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(Ansa)
Economia

Il malessere dietro gli scioperi del mondo auto negli Usa

Come non accadeva da quasi 90 anni i grandi sindacati hanno bloccato la produzione di Gm, Stellantis e Ford. e non è solo una questione di contratto

Uno sciopero storico, o meglio un’ondata di scioperi... Era da 88 anni che non si vedeva negli Stati Uniti una protesta nelle Big Three, le tre grandi del settore automobilistico americano: General Motors, Ford e Stellantis. Protesta che arriva dopo un’estate in cui decine di migliaia di lavoratori hanno incrociato le braccia in molti settori dell’economia (da Starbucks a Amazon, passando per gli hotel californiani e il mondo di Hollywood). Un’onda di attivismo cominciata nell’ottobre del 2021 e che è diventata “contagiosa”, in un paese dove solo il 10% dei lavoratori è sindacalizzato.

Quasi 13mila lavoratori membri dello storico sindacato americano United Automobile Workees (UAW) sono in sciopero da venerdì negli stabilimenti che producono alcune delle auto e dei camion più venduti dalle Big Three. La richiesta è un aumento salariale del 40% in quattro anni, in linea con l’incremento dei compensi degli amministratori delegati delle tre aziende, dal 2019 ad oggi. Lo sciopero arriva dopo la fine della crisi del settore, confermata dai profitti delle Big Three (Ford 3,5 miliardi di dollari, General Motors 4,7 miliardi di dollari, e Stellantis 11 miliardi di euro). Il sindacato chiede anche la settimana lavorativa più breve, miglioramenti nelle pensioni e nelle assicurazioni sanitarie dei lavoratori e più sicurezza.

Una protesta che si inserisce in un aumento esponenziale dell’uso dello sciopero in un Paese dove il tasso di iscritti ai sindacati è sceso nel 2022 ai minimi storici (10,1%). Guardando infatti ai dati ufficiali americani si scopre che i settori non sindacalizzati sono quelli dove c’è stato il maggior incremento salariale. 15,8% contro il 12,2% delle aziende dove non c’è stata lotta sindacale. Guardando ai numeri delle proteste quello che si nota è un boom di partecipazione alle proteste, non un boom di iscrizione ai sindacati. Il numero di lavoratori che hanno aderito agli scioperi è aumentato dell’80% infatti. Tanto che gli esperti sono pronti a scommettere molte più azioni collettive e scioperi nei prossimi cinque, dieci anni.

L’ondata di scioperi è iniziata nell’ottobre del 2021, con quello che fu chiamato “Striketober“. I 1400 dipendenti Kellogg’s, i 10.000 di John Deere, centinaia di infermieri e dipendenti di Kaiser Permanente nel settore sanitario e migliaia di lavoratori in tutto il paese. Le richieste? Comuni: salari più elevati, orari di lavoro meno pesanti e assicurazioni sanitarie migliori. Nel 2022 le proteste sono continuate e così nel 2023 con i dipendenti di Starbucks, gli autisti di Amazon, i lavoratori del settore hotel in California, i piloti di American Airlines, i portuali della West Coast. E poi c’è la protesta più famosa, quella di scrittori e autori di Hollywood che sono in sciopero dal primo maggio. Sono 160mila. Picchetti e proteste che in molti casi hanno portato ai risultati richiesti, in altri (come nel caso di Hollywood) no.

Ma che il “mezzo sciopero” stia diventando centrale negli Stati Uniti e che qualcosa sia cambiato rispetto al passato lo dimostra il caso Ups. In luglio i corrieri hanno minacciato dieci giorni di sciopero. Tradotto sarebbe stata una perdita per l’azienda di 7 miliardi di dollari. Risultato? Intesa raggiunta 5 giorni prima del via allo sciopero. Ora ci sono le auto delle Big Three. In gioco 5,6 miliardi di dollari.

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Cristina Colli