Europa
(Ansa)
Economia

L'«Ira» dell'Europa parte male, per colpa delle divisioni di sempre

Francia e Germania da una parte, altri paesi dall'altra. Il tutto nel tentativo di ricopiare (in ritardo) gli americani con il loro Inflaction Reduction Act

L’inflation reduction act (Ira) dell’Unione europea parte male. Durante il Consiglio Ue degli Affari Generali, l’Ue non è riuscita a trovare una voce unica sulla questione, risultando ancora una volta divisa su temi strategici per il futuro dei paesi dell’Unione: “gli effetti dell’Inflation reduction act sulla competitività globale devono essere analizzati e considerati con attenzione”, ha spiegato, in conferenza stampa, la presidenza svedese di turno, Jessika Roswall che sottolinea come al momento “gli stati hanno opinioni diverse sulla risposta per rafforzare la competitività a lungo termine della Ue”. Per questo giovedì i 27 “si concentreranno solo sulle sfide di breve termine dell’industria”.

Inflaction reduction act europeo

L’Ue ha deciso di dar vita al “green deal industriale” comunitario in risposta all’Inflation Reduction Act (Ira) americano che ha visto lo stanziamento da parte dell’amministrazione a stelle e strisce di 370 miliardi di dollari con focus sull'energia e il clima. Nel pacchetto emergono forti sgravi fiscali sia per le imprese che iniziano a produrre negli Usa sia per i consumatori che acquisteranno auto elettriche. Una mossa che ha dato uno scossone all’Ue in termini di competitività. Basti pensare che la BMW ha annunciato un investimento di quasi 2 miliardi di dollari nella Carolina del Sud a fine 2022, Enel ha dichiarato che vuole costruire una fabbrica di celle fotovoltaiche negli Usa, Northvolt (azienda leader in Ue per la produzione di batterie a litio) è interessata al mercato americano e vorrebbe espandersi anche oltreoceano e Iberdrola (società elettrica) ha già deciso di allocare molte più risorse in Usa rispetto che in Europa. Segnali che dunque hanno allarmato l’Ue che ha deciso di muovere i primi passi verso la creazione di un “green deal industriale” comunitario. Il problema è che, come al solito, non si riesce ad agire in modo unitario davanti alle grandi sfide. Sembra infatti che la pandemia da Covid prima e la crisi energetica poi non abbiamo insegnato proprio nulla ai paesi dell’Ue, che continuano ad agire in modo individuale per perseguire esclusivamente gli interessi nazionali a discapito di quelli europei. Se anche con il green deal industriale made Ue si procederà in modo sparpagliato, causando di fatto una vera e propria frammentazione a livello europeo, tra i paesi frugali e quelli che invece presentano un rapporto debito/Pil elevato, il risultato finale non vedrà un’Ue più competitiva, ma piuttosto maggiormente debole, confusa e poco credibile a livello internazionale.

La bozza del “green deal industriale” made in Ue prevede infatti l’allentamento dei vincoli sugli aiuti di stato con l’obiettivo di facilitare i finanziamenti pubblici verso tutti quei settori che si occupano di sostenibilità. Questa mossa andrebbe però a favore di tutti quei paesi dell’Ue che presentano bilanci statali più solidi (e dunque margine di azione maggiore) e a discapito di realtà, come l’Italia, che hanno un rapporto debito/Pil nettamente più elevato e dunque meno possibilità di concedere aiuti alle proprie imprese nazionali. Si verrebbe dunque a creare un’Ue a due velocità. Situazione che dunque richiederebbe o una revisione degli attuali fondi europei (Pnrr), pensando a nuove riallocazioni o la creazione di un nuovo fondo sovrano a livello comunitario. Opzione quest’ultima che vede (ovviamente) la forte opposizione dei paesi frugali (Germania, Olanda, Danimarca, Svezia) che non vogliono appesantire ulteriormente il debito europeo, a favore invece di singole iniziative nazionali. Nell’ultima bozza di conclusioni del Consiglio europeo è infatti stato cancellato ogni possibile riferimento allo Sure o a qualsiasi altro strumento di finanziamento comune. Da qui nascono dunque le diverse visioni in Ue, che si sono concretizzate ieri durante il Consiglio Ue degli Affari Generali.

Le posizione dentro l’Ue

Da una parte troviamo Francia e Germania, spalleggiate dai paesi frugali che vorrebbero un allentamento del quadro di aiuti di stato per i settori che sostengono la transizione energetica e sono fortemente contrari, soprattutto questi ultimi, alla formazione di nuovo debito pubblico a livello Ue. Ma non solo, da ieri, il ministro dell'Economia e della Protezione del clima tedesco, Robert Habeck, e il corrispettivo francese, Bruno Le Maire, sono a Washington, stando alle parole di Le Maire, per "difendere condizioni di concorrenza leale tra Stati Uniti e Ue".

Una visione diametralmente opposta viene invece dalla Finlandia che si è schierata apertamente contro un eccessivo allentamento delle regole sugli aiuti di Stato: "Non vogliamo avere un'eccessiva flessibilità nelle regole degli aiuti di Stato che portino ad una fine del level playing field, dobbiamo rispondere all'Ira ma dobbiamo essere molto attenti", ha spiegato la ministra per gli Affari Ue finlandese Tytti Tuppurainen. Sui fondi da mettere in campo la Finlandia pensa che non si debbano mettere nel sistema nuova liquidità ma usare quelle attuali: “Se guardiamo ai numeri e consideriamo insieme le risorse il quadro finanziario pluriennale e quelle del Recovery fund che abbiamo, arriviamo quasi 2 mila miliardi di euro che possano essere riallocati per affrontare le sfide attuali".

L’Italia, uno dei paesi maggiormenti interessati delle prime formulazione del progetto europeo, in termini negativi, non ha invece preso una posizione forte ma si è limitata ieri a sottolineare, tramite una nota del Mimit, come il documento della Commissione Ue sul Green Industria Plan è "una base di partenza importante ma non sufficiente e che serve una maggiore ambizione per rispondere alle sfide globali". Per questo "il governo italiano ritiene necessario una ampia convergenza di obiettivi e strumenti al fine di deliberare una politica industriale europea assertiva, competitiva e solidale".

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Giorgia Pacione Di Bello