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Economia

Contro l'inflazione gli italiani hanno messo mano ai risparmi. Anzi, no

Alcuni commentatori hanno lanciato l'allarme parlando dei 20 miliardi che gli italiani hanno preso dai loro risparmi in questi mesi di crescita dei prezzi. In realtà è il 2% dei quasi 1200 miliardi che abbiamo in banca

Si inverte la tendenza al risparmio degli italiani. Tra luglio e novembre 2022 il saldo totale dei conti correnti delle famiglie è diminuito di quasi 20 miliardi di euro. Il calo arriva dopo quattro anni di costanti aumenti e in un Paese dove, storicamente, l’apporto di risparmio è notevole. “E’ il sintomo di un momento di attenzione, non di una cattiva salute dell’economia. Pensiamo agli Stati Uniti. Sono un paese economicamente sano, ma non generano risparmio e vivono a debito. Se dicessimo che il risparmio (la crescita o lo stock) definisce la qualità dell’economia di un Paese, diremmo una sciocchezza.”, spiega Carlo Gentili co-fondatore Nextam Partners

Il saldo totale dei conti correnti delle famiglie italiane è sceso dai quasi 1.178 miliardi di luglio ai poco meno di 1.159 miliardi di novembre. L'ultimo bollettino Banche e moneta di Bankitalia mostra che quasi 12 miliardi sono crollati solo nell'ultimo mese considerato. La capacità di accumulo dei correntisti italiani negli ultimi anni era stata sempre in aumento. Quota 967 miliardi (fine 2017), a fine 2018 990 miliardi (+23 miliardi), a fine 2019 1.044 miliardi (+54 miliardi), a fine 2020 a 1.110 miliardi (+66 miliardi) e a fine 2021 a 1.144 miliardi (+34 miliardi). La variazione annuale positiva è continuata fino a luglio 2022, contando che nei primi 7 mesi dell’anno la crescita aveva segnato un +0.9%. Lieve, ma c’era stata. Poi il crollo del potere d’acquisto degli italiani (inflazione) e il caro energia hanno spinto ad attingere alle riserve, ai risparmi. E quindi ecco l’inversione di tendenza, con una riduzione di quasi due punti percentuali tra luglio e novembre 2022 (-1,53%). “Non è tanto, è un dato in linea con l’inflazione. Quello che allarma è che di solito l’insieme delle famiglie di un Paese dovrebbero avere capacità di accrescimento della propria quota di risparmio. In teoria se guadagna 100 deve avere tra il 5 e il 15% di risparmio all’anno del proprio reddito per crearsi uno stock di risparmio, previdenza. A livello di stock preoccupa perché l’incremento dovrebbe essere anche piccolo, ma sempre costante”, spiega Gentili.

Che l’inversione di tendenza nel risparmio degli italiani vada a braccetto con l’aumento dell’inflazione lo dice anche il dato singolo di novembre 2022. 12 miliardi sono crollati solo nell’ultimo mese considerato e l’aumento dei prezzi ha toccato un record di 12% proprio in ottobre, seguito da un +11,8% di novembre. “I soldi messi da parte dalle famiglie italiane (quei 1.159 miliardi ndr.) sono comunque un dato elevato. Storicamente sappiamo che l’apporto di risparmio italiano è notevole, anche perché bisogna aggiungere che l’italiano medio possiede la casa dove vive (circa il 70% dati Istat 2021 ndr). Se uniamo i due elementi, stock di risparmio che per tradizione è elevato in Italia e casa di proprietà, possiamo dire che l’italiano medio sta abbastanza bene, a differenza dell’inglese e dell’americano che non risparmia e non ha la casa di proprietà”, continua Gentili.

Alla riduzione della capacità di accumulo dei correntisti si unisce però un aumento dei prestiti per il consumo. A novembre 2022 l’ammontare complessivo si è attestato a 256 miliardi, in crescita dell’1,5% rispetto a gennaio. Un incremento che non po' certamente essere spinto dai bassi tassi di interesse (che da luglio 2022 sono in salita). “Fa parte dello stesso problema: l’inflazione morde e la gente si indebita, anche per sopravvivere. L’inflazione è salita più o meno del 10%, ma per alcuni cittadini anche di più, soprattutto per chi ha redditi bassi. Il latte è passato da 1,05-1,10 euro a 1,40 euro. È un + 30%. Chi ha consumi limitati, perché ha stipendi ridotti, ha avuto un impatto superiore al 10% e quindi si indebita”, spiega Gentili

Tutto questo mentre i salari restano fermi. Su 208 contratti di lavoro collettivo ce ne sono 91 che attendono il rinnovo. Dopo il balzo dell’inflazione ci sono tensioni salariali in tutta Europa, Italia compresa. “I salari sono il tema su cui i mercati e la politica si stanno confrontando in questi primi mesi dell’anno e sarà questo il tema caldo del 2023. E’ l’anno in cui si dovrà discutere di aumento salariale e sarà cruciale capire se l’inflazione tornerà indietro. Ipotizzando un’inflazione al 5% e un aumento salariale del 4% (modesto, ma già buono) potrebbe re-innescarsi la spirale inflazionistica. Quindi bisogna essere molto cauti e attenti nel chiedere, nel concedere e nel programmare la politica economica del Paese”, conclude Gentili

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Cristina Colli