Amara
(Ansa)
Industria

Tra i guai di Ilva c'è pure Amara, l'uomo della loggia Ungheria

Sono scattate le manette per l'avvocato già al centro dell'inchiesta sulla Loggia segreta che mischia ancora giustizia e industria

In attesa che decolli la riforma della giustizia, l'ennesimo indizio sull'inquietante stato dei nostri tribunali arriva da Potenza. La Procura della Repubblica del capoluogo lucano ha ordinato misure cautelari per una serie di personaggi legati ai tribunali di Trani e Taranto e alle vicende giudiziarie dell'Ilva e dell'Eni.

Sono finiti in carcere l'avvocato Pietro Amara (già indagato dalla procura di Milano su presunte attività di depistaggio per condizionare l'inchiesta sul caso Eni-Nigeria) e il poliziotto Filippo Paradiso. Ai domiciliari sono finiti invece l'avvocato di Trani Giacomo Ragno e Nicola Nicoletti della Pwc ed ex consulente dei commissari dell'ex Ilva dal 2015 al 2018. Obbligo di dimora per l'ex procuratore di di Trani e poi di Taranto Carlo Maria Capristo.

A far notizia è il nome appunto dell'avv. Amara, l'uomo da settimane al centro delle cronache giudiziarie (e delle polemiche politiche) per i suoi retroscena sulla ormai famosa «Loggia Ungheria» di cui avrebbe fatto parte assieme ad altri uomini della magistratura, della politica e dell'industria.

Nell'ordinanza della Procura di Potenza si legge in particolare che Capristo, quale procuratore della Repubblica di Trani, avrebbe "venduto stabilmente" la sua "funzione giudiziaria" ad Amara il quale in cambio effettuava, secondo le accuse, una "incessante attività di raccomandazione, persuasione, sollecitazione svolta" in suo favore su "membri del Csm (da loro conosciuti direttamente o indirettamente) e/o su soggetti ritenuti in grado d'influire su questi ultimi". A sua volta Capristo favoriva Amara in modo da farlo entrare nelle grazie dell'Eni e cercava di ammorbidire la procura nei procedimenti in cui Amara era coinvolto come consulente. Capristo "stabilmente vendeva ad Amara e Nicoletti la propria funzione giudiziaria sia presso la Procura di Trani (a favore del solo Amara) che presso la Procura di Taranto (a favore di Amara e Nicoletti)".

L'indagine parte dall'esposto anonimo che nel 2015 Amara aveva fatto recapitare alla Procura di Trani con l'obiettivo di far emergere l'esistenza di un complotto ai danni dell'amministratore delegato dell'Eni, De Scalzi. A Trani Capristo si sarebbe dato da fare per accreditare il fantasioso progetto criminale ai danni dell'Eni e di conseguenza far apparire Amara come un personaggio utile per la difesa del gruppo petrolifero.

"L'allora procuratore capo Capristo accettava una interlocuzione assolutamente impropria ed anomala con Piero Amara sulle vicende investigative oggetto degli esposti anonimi nonostante alcun indagato o parte offesa avesse nominato Amara quale proprio legale e nonostante i procedimenti fossero stati secretati. Con tale condotta Capristo avrebbe consentito ad Amara di proporsi e mettersi in luce presso Eni, per un verso, come punto di riferimento" e, per altro verso, "come legale meritevole di nuovi ed ulteriori (e ben remunerati) incarichi".

A Taranto, dove Capristo è arrivato grazie anche alle pressioni dei suoi sodali, il magistrato avrebbe aiutato Amara e Nicoletti per facilitare la loro ascesa professionale come consulenti dell'Ilva in amministrazione straordinaria, facendo intendere all'azienda che i due avevano un buon rapporto con la Procura e dimostrandosi così «più aperto, dialogante e favorevole alle esigenze dell'Ilva» su cui era in corso l'indagine recentemente arrivata a sentenza sul disastro ambientale.

Nel triste caso dell'incidente mortale avvenuto il 17 settembre 2016, costato la vita all'operaio Giacomo Campo, Amara veniva nominato difensore di fiducia dell'Ilva mentre "Capristo avrebbe ricevuto indicazioni dallo stesso Amara per la nomina di Sorli Massimo quale consulente tecnico che avrebbe dovuto svolgere un sopralluogo e connessi accertamenti presso l'impianto, come poi avvenuto". In seguito Capristo, terminati gli accertamenti "sollecitava i suoi sostituti a provvedere con massima sollecitudine al dissequestro dell'altoforno 4 avvenuto poi nelle ore successive peraltro sulla base dell'impostazione difensiva dell'Ilva, rivelatasi infondata, relativa alla insuperabile necessità di alimentare, per mezzo dei macchinari coinvolti nel sinistro, l'altoforno e, quindi, impedire sbalzi di temperatura che lo avrebbero danneggiato".

A fronte di tali favori, "Nicoletti, abusando della sua qualità di gestore di fatto degli Stabilimenti Ilva di Taranto, condizionava i dirigenti Ilva sottoposti a procedimenti penali a Taranto (procedimenti nei quali rispondevano per reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni) affinché conferissero una serie di incarichi difensivi – poi remunerati dall'Ilva– all'avvocato Giacomo Ragno, considerato dagli inquirenti alter ego di Capristo, in ragione dello stretto legame tra i due risalente fin dai tempi in cui Capristo era procuratore della Repubblica di Trani".

Un quadro insomma sconvolgente, che se confermato dalle sentenze mostra un sistema in cui il capo di ben due Procure avrebbe fatto mercimonio delle sue funzioni e in cui due grandi gruppi sono diventati oggetto di manovre per ottenere indebiti vantaggi economici e professionali. E con un Csm colpevole di favorire la carriera di personaggi come Capristo, il quale coordinò, tra l'altro, l'improbabile inchiesta sulle agenzie di rating.

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Guido Fontanelli