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Ecco quanti giorni dobbiamo lavorare per pagare le tasse

Nel 2013 gli italiani hanno dedicato 158 giorni di lavoro per onorare il Fisco rispetto ai 123 della Spagna

Rassegnatevi: poco meno di metà anno, in un modo o nell’altro, che vi piaccia oppure no, la dedicate al Paese. Meglio a lavorare per pagare le tasse. A ricordarcelo, è il vulcanico ufficio studi della Cgia di Mestre, l’associazione guidata con capacità e determinazione dal segretario Giuseppe Bortolussi.

Utilizzando una nuova metodologia utilizzata dall'Eurostat (Sec 2010) ha calcolato il giorno di liberazione fiscale dal 1995 e 2013, ossia la data in cui termina il periodo necessario per onorare il fisco.

Tax Freedom Day
Nel 2013 è stata il 7 giugno. Detto altrimenti, dal primo gennaio sono stati necessari a ogni italiano 158 giorni lavorativi in media per pagare tasse, tributi vari, contributi e imposte previste dal nostro ordinamento fiscale.

Sono 9 giorni in più rispetto alla media registrata nei paesi dell'area euro e ben 13 se si mette a confronto l'Italia con i 28 paesi della Ue. Tra i nostri più diretti concorrenti solo la Francia presenta un dato peggiore del nostro (174 giorni), mentre in Germania il tax freedom day scatta dopo 144 giorni, in Olanda dopo 136 giorni e in Spagna dopo 123 giorni.

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Il peso del Fisco in Italia

Dalla metà degli anni ’90 (147 giorni) fino al 2005 (143 giorni) i giorni di lavoro necessari per onorare il fisco hanno subito una progressiva riduzione, sottolinea l'ufficio studi della Cgia, per poi tornare ad aumentare sino a toccare il record storico nel 2012 (158 giorni), replicato nel 2013.

A spostare sempre più in là la data è l'eccessiva pressione fiscale. Tasse e redditi, infatti, negli ultimi 20 anni hanno seguito trend opposti. Lo rivela sempre la Cgia di Mestre, in un altro recente studio: il prelievo fiscale tra il 1995 e il 2013 è cresciuto del 40%, pari a 4.400 euro che hanno portato il carico annuo sulle famiglie italiane a 15.300 euro, mentre nello stesso periodo il reddito reale è crollato del 19%.

Ecco perché dal quadro dipinto dalla Cgia emerge "una complessiva criticità per i quasi 26 milioni di famiglie italiane, aggravatosi con l'avvento della crisi": dal 2007 (ultimo anno pre - crisi) al 2013, nonostante il peso fiscale sia leggermente diminuito registrando nell'ultimo anno addirittura una contrazione di 325 euro, a seguito anche dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa, il reddito disponibile netto ha subito una "sforbiciata" di quasi 3.000 euro.

E con troppe tasse e meno soldi a disposizione, negli ultimi sei anni i consumi delle famiglie al netto dell'inflazione hanno subito una caduta verticale: -13,4%. Senza contare che, nonostante l'Italia sia un paese di tartassati, "i servizi che le famiglie e le imprese ricevono dallo Stato spesso non sono all’altezza delle aspettative", ha commentato il segretario Bortolussi.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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