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(Ansa)
Economia

La crisi delle grandi aziende dell'eolico

L'economia green fatica e diversi grandi gruppi in tutta Europa sono sull'orlo del fallimento

Rinnovabile addio? Non sembra esserci pace per la transizione green mondiale. L’industria dell’energia eolica (offshore in particolare) è sempre più in crisi. L’ultimo colpo è il crollo del colosso danese Osted (-25% alla Borsa di Copenaghen), che da produttore di petrolio e gas si era trasformata in leader mondiale nella costruzione di impianti eolici in mare, vedendo il business all’orizzonte. “L’industria eolica offshore è nel bel mezzo di una tempesta perfetta”, ha dichiarato senza mezzi termini Mads Nipper, l’amministratore delegato del colosso danese. C’è stato un aumento del 40% dei costi negli ultimi mesi per le aziende impegnate a costruire negli Stati Uniti, dove in molti avevano investito spinti dal bisogno americano di ridurre le emissioni di carbonio.

Orsted è crollata in borsa (fino a -25%) dopo aver annunciato lo stop allo sviluppo di due progetti negli Stati Uniti e una svalutazione di 28,4 miliardi di corone danesi (3,8 miliardi di euro) sui suoi conti. Un calo del 70% rispetto al massimo delle sue quotazioni, registrato nel 2021. È l’ultimo colpo all’industria delle rinnovabili. I casi sono decine. La settimana scorsa c’era stato il tracollo di Siemens Energy alla Borsa di Francoforte. Prima c’era stata Iberdrola, che ha preferito pagare 48 milioni di dollari per annullare un accordo a lungo termine per la vendita di energia da un parco eolico progettato al largo del Massachusetts. Era troppo caro continuare per il grande produttore spagnolo. E poi British petroleum, che ha svalutato per 540 milioni di dollari le sue attività negli Usa. Xinjiang Goldwind Science & Technology, produttore di turbine, ha subito un crollo del 98% dei propri profitti…

Soffrono tutti (investitori e aziende) e vanno in fumo miliardi di dollari ed euro. Perché? Dove sono i motivi? Le perdite record si devono all’impennata dei costi, all’aumento dei tassi d’interesse, all’Inflation Reduction Act statunitense e ai ritardi delle forniture di materiali.

L’aumento dei tassi di interesse degli ultimi mesi ha fatto lievitare nei portafogli delle società i costi finanziari degli investimenti nei progetti eolici. Si è abbassato quindi il rendimento degli investimenti nel settore.
C’è poi il capitolo Inflation Reduction Ac, il programma statunitense varato nell’agosto 2022 per incentivare la transizione green. Un piano “protezionistico” che per molte società europee dell’eolico e delle rinnovabili ha portato nella realtà dei fatti a beneficiare molto meno dei crediti di imposta negli Stati Uniti rispetto a quanto preventivato. E quindi sono soldi in meno anche qui.
Altro tema è la questione dimensioni. La maggiore domanda di parchi eolici immensi (per raggiungere prima gli obiettivi green) e con maggiore efficienza ha fatto lievitare i costi di costruzione, ma soprattutto di installazione. Mettere in piedi parchi eolici giganti vuol dire nuovi macchinari e nuovi mezzi per trasportare il materiale e le immense pale. Addirittura, ci sono società che chiedono di fissare uno standard mondiale per uniformare la potenza massima delle pale eoliche, per evitare il gigantismo dei produttori e quindi costi fuori controllo.
E infine ci sono i ritardi nella consegna di materiali e infrastrutture, che sono costi e perdite per le società.

Fare energia eolica costa troppo. Investitori e aziende stanno perdendo interesse, mentre sembrano riacquistare appeal (profitto) petrolio e gas.

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Cristina Colli