L’eolico offshore nei mari italiani, crisi energetica
(Norbert Pietsch - Pixabay)
Economia

L’eolico offshore nei mari italiani: energia a quale prezzo?

L’aspetto più importante che la crisi energetica ci sta insegnando è la necessità che l’energia abbia dei costi sostenibili se non si vuole devastare il tessuto economico del paese. L’esplosione del prezzo del gas ci ha fatto capire la vulnerabilità del futuro della nostra industria manifatturiera e di conseguenza dell’intero sistema del paese.

E’ stata presentata qualche giorno fa, alla presenza del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, Aero, l’associazione delle energie rinnovabili offshore, la cui finalità, pare di intuire, è “mettere a terra”, o meglio in mare, gli 8,5 GW di impianti eolici offshore, necessari secondo le stime di Terna, entro il 2030 per raggiungere gli obbiettivi dello scenario Fit for 55, il piano di Bruxelles per ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra del Vecchio Continente di almeno il 55% entro il 2030.

La risorsa eolica dei mari italiani non va confusa con quella del Mare del Nord: basta consultare il Global Wind Atlas (Global Wind Atlas) per rendersi conto che, sulla base degli standard internazionali della Commissione elettrotecnica internazionale (IEC), la capacità di produzione di energia dei nostri mari è forse la metà di quella dei paesi del Nord Europa. Ma, l’aspetto più importante, quello che la crisi energetica ci sta insegnando, è la necessità che l’energia abbia dei costi sostenibili se non si vuole devastare il tessuto economico del paese.

Dal grafico sottostante si può comprendere come il prezzo di riferimento dell’energia elettrica rilevato sulla borsa elettrica italiana, negli ultimi 18 mesi, non abbia precedenti nei 17 anni precedenti, in cui la media mensile del PUN è oscillata tra i 36 e i 100 € per megawattora, MWh, con un valore medio di circa 55 € per MWh. L’esplosione del prezzo del gas ci ha fatto capire la vulnerabilità del futuro della nostra industria manifatturiera e di conseguenza dell’intero sistema del paese: con il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso costantemente al di sopra dei 200 euro al MWh il futuro più probabile è la deindustrializzazione.

Andamento storico del PUN, prezzo unico nazionale.

Il primo aspetto da comprendere quindi, è se l’energia prodotta dalle turbine eoliche offshore sia compatibile con il prezzo medio dell’energia che ha permesso lo sviluppo del nostro paese. Oggi l’unico dato di cui disponiamo è quello del parco eolico nella rada antistante il porto di Taranto, Beleolico, per la cui energia i contribuenti italiani pagheranno 201,7 € per MWh per i prossimi 20 anni. Oltre tre volte quello si può considerare un prezzo economicamente sostenibile dal Paese. L’obbiezione che ci viene solitamente posta è che la tecnologia è in evoluzione e che presto i costi di queste tecnologie crolleranno e l’energia prodotta diventerà estremamente economica. Sarà vero?

Nemmeno per sogno. I produttori di turbine eoliche europei stanno lottando per sopravvivere. Si stima che il settore abbia perso oltre 3,7 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2022 a causa di una miriade di fattori: dai tempi di evasione degli ordini, molto lunghi, che espongono i produttori alla volatilità dei prezzi delle materie prime, alla logistica, un settore di estrema specializzazione, i cui costi sono saliti alle stelle. Una tempesta perfetta che ha costretto queste aziende ad adottare misure drastiche per tornare a produrre utili, privilegiando solo progetti la cui redditività è certa, smettendo di inseguire i volumi e la crescita della quota di mercato. Nordex nel 2022 ha dichiarato un reddito netto negativo per 497,76 milioni di euro, peggio Vestas, le cui perdite hanno superato il miliardo e mezzo di euro.

Obbligati ad una rigida disciplina dei costi i produttori sono dovuti intervenire riducendo gli organici, chiudendo siti produttivi e concentrandosi sul loro core business. Ma i costi sono destinati ad aumentare del 3-5% nei prossimi due anni per l'inflazione, che continua a colpire i costi delle materie prime e del lavoro, e del crescente reshoring delle catene di approvvigionamento, che si spostano verso mercati a costi più elevati. Si stima che la differenza degli investimenti in capitale fisso (capex) tra eolico onshore e offshore sarà di circa 2,5 milioni di dollari per MW di capacità.

A queste considerazioni sono pervenuti anche gli esperti di Bruxelles, resisi anch’essi conto di come gli aumenti dei prezzi di alluminio, nichel e terre rare hanno fatto lievitare il costo di una turbina eolica del 38% negli ultimi due anni. Questo a causa dell’ormai nota dipendenza dell’Europa dalle materie prime critiche la cui estrazione e lavorazione è nelle mani di pochi paesi. Situazione che, nelle intenzioni di Bruxelles, verrà risolta dall’adozione del Criticals raw materials act (Riflessioni critiche sulle materie prime critiche - Panorama).

Oggi le materie prime necessarie per l'energia eolica europea vengono estratte ed elaborate rispettivamente per il 77% e per il 54% al di fuori dall’Unione: pensare di competere a livello globale con le misure previste nella nuova legge sulle materie prime critiche è una pia illusione. E di questo non ce ne siamo accorti solo noi ma anche l’industria eolica cinese (La Cina pronta a mangiarsi anche l’industria eolica europea - Panorama) che vede enormi opportunità per la sua espansione all'estero: le turbine di Beleolico sono della cinese MingYang.


Dei primi 10 produttori di turbine eoliche a livello globale nel 2022 la metà sono aziende cinesi.

Si consideri che proprio le turbine eoliche offshore sono quelle più frequentemente dotate di magneti permanenti per consentire una minore manutenzione, viste le condizioni operative, che rendono più complesso e costoso qualsiasi intervento rispetto a quelle onshore. L’industria dei magneti permanenti, prodotti mediante l’utilizzo di alcuni elementi delle terre rare, oggi è controllata da Pechino e la dipendenza dei produttori europei dalle forniture cinesi è totale.

Non è un caso che nel 2022 la cinese Goldwind abbia conquistato la prima posizione come quota di mercato globale a scapito di Vestas, sul trono dal 2015. Per quanto la rimozione del sussidio in Cina alla fine del 2021 abbia causato un calo sostanziale di 8 GW pari ad un -77% rispetto all’anno precedente sul segmento eolico offshore globale. Ma il robusto mercato interno ha protetto la maggior parte dei produttori cinesi dai venti contrari delle supply chain globali che hanno gravemente influenzato la redditività delle industrie occidentali. Consentendo loro di ridurre i prezzi sulla prossima generazione di turbine eoliche che eclissano i prodotti proposti dagli occidentali.

Oggi, nel decreto Fer 2 all'esame di Bruxelles, il costo dell’energia previsto per l’eolico offshore è di 185 € per MWh. Un prezzo esorbitante a cui vanno aggiunti i costi di collegamento che, presumibilmente, verranno accollati a TERNA, cioè sulle tariffe di trasmissione, per un’energia intermittente, non programmabile. Un’energia, il cui costo, per essere concretamente al servizio del paese, va aumentato per gli opportuni dispositivi di storage, come le batterie, o delle centrali turbogas, pronte ad intervenire per sostenere la rete quando il vento smette di soffiare. Come frequentemente accade quando “ce lo chiede l’Europa”, a pagare sono i contribuenti italiani e probabilmente a guadagnare sarà Pechino.

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Giovanni Brussato